Hai mai pensato a questa dinamica dello strafare? Io ci penso spesso.
Quasi tutti i giorni.
Leggo libri che dicono che devi lavorare solo 4 ore al giorno e 4 giorni alla settimana.
Vedo reel che sostengono che il lunedì mattina sia meglio essere a Flores in Guatemala, piuttosto che in ufficio a Milano.
E per carità, hanno ragione da vendere.
Vedo poi consulenze che ti spiegano come lavorare poco e guadagnare tanto.
E vedo che tutti affermano di lavorare poco, ma secondo me, gli italiani lavorano ancora troppo. Ed essere impegnati è ancora un valore.
Ciao sono Ilaria! Ogni tanto, di mercoledì, potrebbe arrivarti una mia newsletter.
Parlo di viaggi, riflessioni sui viaggi e sulla vita. In questo momento, ti scrivo da Melbourne, Australia.
Se ti piacciono i miei racconti di viaggio puoi abbonarti (riceverai in omaggio una consulenza con me) oppure puoi offrimi un aperitivo.
Per te è un piccolo gesto, per me è super importante!
Perché lavoriamo ancora troppo?
C’è ancora questa cultura del lavoro, che secondo me è un retaggio della generazione precedente, per cui lavorare tanto era un valore.
Vantarsi di essere impegnati, di aver lavorato tanto, di aver guadagnato tanto.
La gente sta ancora troppe ore in ufficio, esce tardi (non tardi come una volta) e ha poco tempo per vivere o semplicemente per fare il bucato.
E non parlo dell’Australia, parlo dei miei amici e conoscenti in Italia.
Ho come la sensazione che le ore siano ancora troppe e che non siano tutte produttive.
Alla domanda come stai? Sento spesso risposte come:
“Sto lavorando tanto”.
“Casini al lavoro”.
“È un periodo stressante al lavoro”.
Queste frasi si ripetono ed è come se vivere di fretta, strafare fosse la normalità.
Anche io ero così.
Lavoravo tante ore e, adesso che ci penso, un po’ mi nascondevo dietro quelle tante ore.
Mi impedivano di fare quello che veramente volevo, che era esplorare il mondo da sola.
Ma allo stesso tempo mi permettevano di non esplorare il mondo da sola, cosa che mi faceva molta paura.
Quindi le tante ore di lavoro erano un alibi. Per tante cose.
Per non uscire, per non partecipare, per arrivare tardi, per non avere tempo libero. Voglio dire, se avessi fatto più spazio, cosa ci avrei fatto?
Io non sapevo cosa si fa quando non si lavora, quando non si è occupati a produrre. Nessuno me l’ha mai insegnato, anzi mi è sempre stato trasmesso il contrario. Poi io sono nata a Udine, il Nord Est produce. E tanto.
Cosa mi ha portato a rallentare
1) Lavoro da dove voglio
Quando ho iniziato a lavorare dal bar, dalla biblioteca, dalla macchina, dalla panchina, ero ancora una delle prime. Almeno in Italia.
La gente si portava il libro nella caffetteria, magari il Kindle.
Poi quando mi sono trasferita in Australia, ho visto che la gente lavorava un po’ dove gli pareva.
Anche al parco.
Quindi ho cominciato a fare delle prove e devo dire che funzionava.
Mi sentivo più ispirata, produttiva, più allegra, meno forzata.
D’altronde quando facevo la giornalista, non scrivevo mica sempre in redazione.
Anzi quasi mai.
Il lavoro da remoto ha cambiato il mio rapporto con il lavoro, l’ha reso più amichevole, meno ostile
2) Viaggiare mi ha insegnato che c’è altro oltre al lavoro
Il viaggio, se vogliamo, mi ha fatto capire che lavorare serve a pagarsi i viaggi.
Che con i soldi, il viaggio è migliore.
È meglio fare la digital nomad, avendo un’entrata mensile, che fare l’anno sabbatico. Nel secondo caso, sei più libero, ma vedi i tuoi soldi sul conto diminuire giorno dopo giorno.
Almeno io la pensavo così.
Adesso penso che sarebbe figo un anno sabbatico.
Della serie: la coerenza è sopravvalutata.
In ogni caso il viaggio mi ha fatto capire che ci sono cose più importanti di lavorare. Come ad esempio viaggiare.
E se lavori tutto il tempo, ti stai perdendo il mondo.
3) Ho imparato a delegare
Avendo un’azienda, sono stata costretta a delegare quasi sin da subito.
E devo dire che mi è venuto abbastanza naturale.
Poi negli anni, mi sono ingolfata di cose da fare e mi sono ritrovata a fare troppo.
Di nuovo, lo strafare.
Quell’atteggiamento di “Sì, dai faccio io” perché sembrano tutte micro-task, ma accettarle tutte significa ritrovarsi con una sensazione di non portare mai veramente a termine il lavoro.
Ho cercato persone con un po' di tempo libero, a cui poter delegare 10-20 ore a settimana. Ma presto mi sono accorta che stavo facendo il lavoro di due persone a tempo pieno. È stato sorprendente rendermi conto di quanto stessi facendo, e quanto mi stavo perdendo in termini di vita e viaggi.
4) Chiedere aiuto è stato il mio superpotere
Da sola non ne venivo fuori.
Delegare non mi sembrava nemmeno volendo una soluzione.
Ero fermamente convinta che non ci fossero altre persone in grado di svolgere il mio lavoro.
Per scoprire che mi sbagliavo di brutto.
C’erano ragazzi pronti a farlo meglio di me, con tante idee nuove a cui non avevo pensato.
Una coach mi ha aiutato a riflettere su cose a cui non avevo mai pensato e soprattutto a cambiare prospettiva.
5) Le priorità sono cambiate. E anche la mia produttività
È come se da un momento all’altro fosse diventato più importante esplorare Cusco e perdermi per le sue viette, che evocano la cultura Inca, che trascorrere una giornata davanti al computer.
Non solo era più importante partecipare ad una lezione di salsa ad Antigua, ma era anche imprescindibile.
A furia di viaggiare, di delegare, di riflettere su come voglio trascorrere il mio tempo, il lavoro è diventato un mezzo e non più un’esperienza totalizzante.
Ho anche imparato a lavorare in maniera meno dispersiva in modo da recuperare il tempo di fare quel trekking in Patagonia.
Magari apro il computer dopo una giornata passata a cammina e in montagna, piuttosto che rinunciare alla camminata.
Magari mi sveglio alle 6 del mattino.
Insomma ho cambiato le mie priorità e anche il modo in cui mi organizzo per far sì che le priorità vengano effettivamente prima.
Come riempio il mio tempo libero (senza strafare)
Credo che la sfida principale sia stata non riempire il tempo libero che avevo guadagnato con altre attività impegnativa o pseudo-lavorative.
Quando viaggio, o lavoro o esploro. Spesso ozio, mi godo quei momenti tipici di un viaggio: una lettura a bordo piscina, un pisolino sotto l’ombrellone, un caffè bevuto lentamente.
Quando non viaggio, si fa tutto più complesso, perché sento quasi l’obbligo di fare qualcosa di produttivo.
Se non lavoro pulisco, se non lavoro vado a pilates, se non lavoro scrivo il blog.
E così magicamente il blog, i social, questa newsletter diventano un secondo lavoro. Anche se fatto con molto piacere, diventano un impegno.
Prima non avevo tempo di scrivere il blog, ma adesso che lo scrivo non ho tempo di annoiarmi.
E quindi niente, ho dovuto imparare a non tornare nel tunnel dello strafare, dell’essere produttiva.
Ho imparato a rinunciare alla pubblicazione costante delle newsletter, alla costanza su Instagram, all’idea di perfezione, in nome di una vita lenta.
Un bicchiere di vino bevuto guardando il vuoto, una passeggiata invece che i mezzi, qualche ora in più con la tua amica, invece di dirle “devo scappare”.
Mi rimangono tanti spazi vuoti nel corso della giornata, che mi permettono di camminare lentamente, di guardare una vetrina, di sorridere ad uno sconosciuto, di fare una pausa al bar, di provare quello studio di yoga nuovo, fare la spesa con calma leggendo l’etichetta.
Insomma lavoro meno (ma meglio) per vivere una vita più lenta, più autentica, più mia.
Leggi il racconto precedente…
Ad un mercoledì,
Ilaria
P.S. Oggi ti consiglio di leggere la newsletter di
, che parla di creatività, cultura e digitale.Sei in partenza? Fatti un’assicurazione di viaggio e sanitaria! Approfitta del 10% di Heymondo, ti lascio il link qui sotto. Parti sicuro e allo stesso tempo sostieni il mio progetto di scrittura di viaggi!
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5 Reasons Why I Decided to Work Less
Have you ever thought about this dynamic of overworking? I think about it often. Almost every day. I read books that say you should work only 4 hours a day and 4 days a week. I watch reels that claim it's better to be in Flores, Guatemala, on Monday morning than in an office in Milan. And, of course, they make a compelling point. Then, I see consultations explaining how to work less and earn more. And I see that everyone claims to work less, but in my opinion, Italians are still working too much. Being busy is still considered a value.
Hi, I’m Ilaria! Every now and then, on Wednesdays, you might receive a newsletter from me. I talk about travel, reflections on travel and life. Right now, I'm writing to you from Melbourne, Australia."
If you enjoy my travel stories, you can subscribe (and you’ll receive a free consultation with me) or buy me a drink.
Why do we still work too much?
There’s still this work culture, which I think is a legacy of the previous generation, where working a lot was a value. Bragging about being busy, having worked a lot, and having earned a lot. People still spend too many hours at the office, leave late (not as late as before), and have little time to live or simply to do laundry.
And I’m not talking about Australia, I’m talking about my friends and acquaintances in Italy. I have this feeling that the hours are still too many, and not all of them are productive. When I ask "How are you?" I often hear answers like:
“I’m working a lot.”
“A mess at work.”
“It’s a stressful time at work.”
These phrases keep repeating, and it’s like living in a rush, overdoing it, is the norm.
I was like this too. I worked many hours, and now that I think about it, I kind of hid behind those long hours. They prevented me from doing what I really wanted, which was exploring the world on my own. But at the same time, they allowed me not to explore the world alone, which terrified me. So those long hours of work were an excuse. For many things. Not going out, not participating, arriving late, not having free time. I mean, if I had made more space, what would I have done with it?
I didn’t know what to do when I wasn’t working, when I wasn’t busy producing. No one ever taught me that, in fact, I was always taught the opposite. Then I was born in Udine, in the Northeast, where producing is a big deal. A lot.
What made me slow down
I work from where I want
When I first started working from the café, the library, the car, the bench, I was still one of the first ones. At least in Italy. People would take their books to the coffee shop, maybe the Kindle. Then when I moved to Australia, I saw people working wherever they liked. Even in the park. So I started testing it out, and I must say it worked. I felt more inspired, productive, happier, less forced. After all, when I was a journalist, I didn’t always write in the newsroom. In fact, almost never. Remote work changed my relationship with work, made it friendlier, less hostile.
Traveling taught me that there's more than just work
Travel, if you will, made me realize that work is meant to pay for travel. With money, the trip is better. It’s better to be a digital nomad with a steady income than to take a sabbatical year. In the second case, you’re freer, but you watch your money decrease day by day. At least that’s how I saw it. Now I think a sabbatical year would be cool. The thing is: consistency is overrated. In any case, travel made me understand that there are more important things than working. Like, for example, traveling. And if you work all the time, you’re missing the world.
I learned to delegate
Having a business, I was forced to delegate almost immediately. And I must say it came quite naturally. Over time, though, I piled up tasks and found myself doing too much. Again, the overdoing. That attitude of “Sure, I’ll do it” because they all seem like micro-tasks, but accepting them all means never really completing the work. I looked for people with some free time to whom I could delegate 10-20 hours a week. But soon I realized I was doing the work of two full-time people. It was shocking to realize how much I was doing, and how much I was missing in terms of life and travel.
Asking for help was my superpower
I couldn’t manage on my own. Delegating didn’t seem like a solution, even if I wanted it to be. I was firmly convinced no one could do my job as well as I could. But I was so wrong. There were people ready to do it better than me, with so many new ideas I hadn’t even considered. A coach helped me reflect on things I had never thought of, and above all, she helped me change my perspective.
My priorities changed. And so did my productivity
It was as if all of a sudden it became more important to explore Cusco and get lost in its little streets, full of Inca culture, than spend a day in front of my computer. Not only was it more important to participate in a salsa class in Antigua, but it was also essential. After traveling, delegating, and reflecting on how I want to spend my time, work became a means, not an all-consuming experience. I also learned to work in a less scattered way to free up time to do that trekking in Patagonia. Maybe I’ll open the laptop after a day spent hiking in the mountains, instead of giving up the walk. Maybe I’ll wake up at 6 AM. In short, I’ve changed my priorities and the way I organize myself to make sure those priorities truly come first.
How I fill my free time (without overdoing it)
I think the main challenge was not filling the free time I had gained with other demanding or pseudo-work activities. When I travel, I either work or explore. I often lounge, enjoy those typical moments of a trip: reading by the pool, napping under an umbrella, drinking coffee slowly. When I’m not traveling, it gets more complicated because I almost feel an obligation to do something productive. If I’m not working, I clean, if I’m not working, I go to Pilates, if I’m not working, I write my blog. And so magically the blog, social media, this newsletter become a second job. Even though I do it with great pleasure, it becomes an obligation. I didn’t have time to write the blog before, but now that I write it, I don’t have time to get bored.
So, I had to learn not to fall back into the overdoing trap, into being productive. I’ve learned to let go of constantly publishing newsletters, being consistent on Instagram, and the idea of perfection in favor of a slow life. A glass of wine sipped while gazing into the void, a walk instead of taking public transport, a few more hours with your friend instead of saying, “I have to run.” I now have many empty spaces throughout my day, which allow me to walk slowly, look at a window display, smile at a stranger, take a break at the bar, try out a new yoga studio, shop calmly while reading labels. In short, I work less (but better) to live a slower, more authentic, more me life.
If you want, you can do a lot of beautiful things. And not just here, but also in life.
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Chat GPT translated this article
Vengo dal nord est anch'io e se non ti guadagni i soldi facendo fatica, sudando, non stai lavorando. Questa cosa facciamo fatica a scrillarcela di dosso.
D'accordissimo (cit. Il cacciatore, Cimino) 😊