Ed eccoci qua. Al gran finale del mio lungo viaggio, durato nove mesi. Chissà cosa racconterò la prossima settimana? Non lo so nemmeno io! Sono atterrata a Buenos Aires e sono ripartita tanti mesi dopo da Bogotà. Sai quelle cose che si dicono? “Voglio scoprire tutto il Sud America, dall’Argentina alla Colombia”. Ecco io l’ho fatto, saltando l’Ecuador e il Brasile. Quest’ultimo perché non me la sentivo, da sola. Ci andrò un’altra volta.
Prima di proseguire, solita domanda di rito, sei iscritto/a alla mia newsletter? Siamo già in 300, in tre mesi. Sono tanto felice. Mi sembra di avere un obiettivo, un po’ più romantico del mio lavoro: scrivere ogni mercoledì un racconto di viaggio. Che poi io lo scrivo il martedì sera, mi riduco sempre all’ultimo. Come all’università. Poi vabbè, io ho studiato Scienze delle Merendine.
Della Colombia, io non ci ho capito niente. Forse perché questo è il mio primo racconto sulla Colombia. E magari quando scrivo, metabolizzo. Io non ho capito se mi è piaciuta o meno. Ma poi, ha sempre tutto a che fare con come stai tu in Colombia che con la Colombia in sé.
Io ero stanca
Anzi ero proprio alla frutta, non riuscivo più a viaggiare, a condividere la stanza, il bagno, la cucina a vestirmi sempre allo stesso modo, a trascinarmi il mio zaino, a stare scomoda, a viaggiare ore e ore sugli autobus, a vedere paesaggi, a conoscere persone nuove. Poi la Colombia mi è sembrata il momento conclusivo del mio viaggio. E quindi di raccoglimento. Ho cercato, infatti, di non fare amicizia con nessuno. E per me è difficile non parlare.
Villa de Leyva
Mi sono rifugiata 10 giorni a Villa de Leyva, che è questo paesino tra Bogotà e Medellin che adesso sta diventando turistico, dove ogni anno fanno un festival degli aquiloni, c’è il mercato campesino, la gelateria italiana, lo studio di yoga all’aperto. Non c’era niente da fare a Villa de Leyva. E infatti lì ho iniziato a scrivere la newsletter che stai leggendo. Ho creato un account su Substack e timidamente l’ho impostato. Ma avevo così tanta paura di andare online. Voglio dire, non ho avuto paura a Cartagena, una bella città per carità, ma tanto caotica, turistica, povera, ricca di contrasti, cocaina e prostitute.
Poi ho mandato la mia prima newsletter, dove descrivevo esattamente come mi sentivo: stanca. Puoi rileggerla qui. Poi mi sono stufata di Villa de Leyva, perché io mi stanco di tutto e di tutti. Sono sempre convinta che quella prossima meta sarà meglio, che quel ragazzo sarà quello giusto, che quella decisione sarà l’ideale per me, parto in bomba per tutto e poi boh, mi stufo. Con lo stesso entusiasmo e la stessa determinazione, mi prendo prima bene e poi male. Capita anche a te? Dimmelo nei commenti, così mi fai sentire meno sola.
Quindio
Mi stufo, perché all’inizio idealizzo un posto, una persona, una scelta, per poi accorgermi che non era una connessione genuina. Ma con Villa de Leyva, sono ancora in ottimi rapporti. Quindi decido di andare nell’Eje Cafetero, che è la zona dove si produce il caffè. La regione si chiama Quindio e ci sono due cittadine molto carine e colorate che vale la pena visitare: Salento e Filandia. Ti muovi in jeep perché le strade sono sterrate; puoi fare un trekking nella Valle de Cocora, dove ammirare le palme da cera più alte del mondo, che arrivano fino a 60 metri; puoi visitare una Finca, dove si produce e si beve il caffè; puoi cenare in un ristorante tipico; puoi goderti colori e tramonti; puoi mangiare un’arepa con il formaggio fuso per strada.
Sono rimasta una decina di giorni in una Finca, vicino a Filandia. Per andare in paese, dovevo salire a bordo di una jeep. “Está casada? Eres muy guapa!” (ndr. Sei sposata? Sei molto bella) mi hanno detto i nonni, mentre rientravo in ostello ammassata su una jeep. Poi sono andata a visitare Cartagena e credo di non aver mai provato così tanto caldo in vita mia, un’umidità che manco in Asia. E secondo me il clima ha compromesso il mio viaggio a nord del paese, non me la sono goduta, nemmeno sulle spiagge del Parque Naciónal Tayrona, che è uno dei luoghi più famosi e visitati della Colombia. Un grande parco naturale, sulla spiaggia, tra giungla, palme e abitanti indigeni che vivono ancora in mezzo alla natura.
La Guajira
E a proposito di abitanti indigeni, mi sono spinta fino a Punta Gallina, il punto più est della Colombia, fino al confine con il Venezuela. La Guajira si chiama questa regione tanto bella, quanto povera. È un deserto, visitabile solo con escursioni guidate. Io ho scelto un tour di tre giorni e due notti a bordo di un 4x4, senza acqua calda, senza wi fi e invece del letto, c’era l’amaca a cielo aperto. Quello che fai per tre giorni, oltre a odiare la jeep soprattutto se sei seduto/a dietro, è vedere le dune e vedere il mare, a ripetizioni. Hai pochi contatti con le popolazioni indigene e per loro sei solo un dollaro che cammina.
Incroci il loro sguardo solo quando gli consegni il suo dono ad uno dei centinaia di posti di blocco che hanno creato con corde e fazzoletti. Per passare devi dare un pacchetto di riso, o caffè o biscotti. Non lavorano, a parte i pochi che gestiscono una bancarella o un “ristorante”, non vanno a scuola, vivono in funzione del nostro passaggio.
Cosa ho capito
Quindi no, io non ho capito la Colombia, è bella, ma ho visto posti più belli. È allegra e colorata, ma è anche tanto triste e tanto povera. Poi ho preso il mio volo di ritorno da Bogotà. E ho salutato il Sud America.
Per me la Colombia ha rappresentato, una presa di consapevolezza e anche una presa di coraggio. Mi sono ascoltata, mi sono concessa il lusso di annoiarmi, ho delegato, ho creato spazio. E questo spazio mi ha permesso di creare questa newsletter. Quindi adesso ho un po’ meno paura, credo di più in me stessa, anche grazie a te che mi leggi. E forse sono pronta anche per il Brasile.
Se vuoi sostenere i miei racconti di viaggio, perché ti piacciono e perché io ci possa dedicare sempre più tempo e cura, puoi offrirmi un aperitivo.
Questa settimana ti consiglio la newsletter
di che nella vita “sbrina progetti creativi”, come scrive lei stessa.Alla prossima, di cosa vuoi che parli? Dimmelo nei commenti. Oltre a dirmi che anche tu ti stufi di tutto…
Se vuoi, puoi fare un sacco di cose belle. E non solo qui, anche nella vita. Puoi:
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🇦🇺 And here we are, at the grand finale of my long journey, lasted nine months. Who knows what I'll talk about next week? I don't even know! I landed in Buenos Aires and left many months later from Bogotá. You know those things people say? 'I want to discover all of South America, from Argentina to Colombia.' Well, I did it, skipping Ecuador and Brazil. The latter because I didn't feel up to it, alone. I'll go there another time.
Before I continue, the usual customary question: Are you subscribed to my newsletter? We're already at 300 in three months. I'm so happy. It feels like I have a goal, a bit more romantic than my job: writing a travel story every Wednesday. By the way, I write it on Tuesday night, I always reduce myself to the last minute. Like at university. But then, I studied “Snack Sciences”, which means Communication.
About Colombia, I didn't understand anything. Perhaps because this is my first story about Colombia. Maybe when I write, I digest. I didn't understand if I liked it or not. But then, it always has to do with how you are in Colombia rather than Colombia itself.
I was tired
I was really exhausted, couldn't travel anymore, share a room, a bathroom, a kitchen, always wear the same clothes, drag my backpack, be uncomfortable, spend hours and hours on buses, see landscapes, meet new people. Then, Colombia seemed like the closing moment of my journey, a moment of reflection. In fact, I tried not to make friends with anyone. And for me, not talking is difficult.
Villa de Leyva
I stayed for 10 days in Villa de Leyva, this little town between Bogotá and Medellín that is now becoming touristy, where they have a kite festival every year, a country market, an Italian gelateria, and outdoor yoga. There was nothing to do in Villa de Leyva. In fact, there I started writing the newsletter you're reading. I created an account on Substack and timidly set it up. But I was so afraid to go online. I mean, I wasn't afraid in Cartagena, a beautiful city, chaotic, touristy, poor, rich in contrasts, cocaine, and prostitutes.
Then I sent my first newsletter, where I described exactly how I felt: tired. You can read it here. Then I got tired of Villa de Leyva because I get tired of everything and everyone. I always believe that the next destination will be better, that the next guy will be the right one, that the next decision will be ideal for me. I start with a bang for everything, and then, well, I get tired. With the same enthusiasm and determination, I first feel good and then bad. Does it happen to you too? Tell me in the comments, so you make me feel less alone.
Quindio
I get tired because initially, I idealize a place, a person, a choice, only to realize that it wasn't a genuine connection. But with Villa de Leyva, I'm still on good terms. So, I decide to go to Eje Cafetero, which is the coffee-producing region. The region is called Quindio, and there are two very cute and colorful towns worth visiting: Salento and Filandia. You move around in a jeep because the roads are dirt; you can trek in the Valle de Cocora, where you can admire the tallest wax palms in the world, reaching up to 60 meters; you can visit a Finca, where coffee is produced and consumed; you can dine in a typical restaurant; you can enjoy colors and sunsets; you can eat an arepa with melted cheese on the street.
I stayed for about ten days on a Finca near Filandia. To go to town, I had to board a jeep. 'Está casada? Eres muy guapa!' (ndr. Are you married? You're very beautiful) the grandparents told me as I returned to the hostel crammed into a jeep. Then I went to visit Cartagena, and I think I've never felt so hot in my life, humidity like never before, not even in Asia. And I think the climate compromised my journey in the north of the country; I didn't enjoy it, not even on the beaches of Parque Nacional Tayrona, which is one of the most famous and visited places in Colombia. A large natural park on the beach, between jungle, palms, and indigenous people who still live in the midst of nature.
La Guajira
Speaking of indigenous people, I ventured to Punta Gallina, the easternmost point of Colombia, on the border with Venezuela. This region is called La Guajira, as beautiful as it is poor. It's a desert, only visitable with guided tours. I chose a three-day, two-night tour aboard a 4x4, without hot water, without Wi-Fi, and instead of a bed, there was an open-air hammock. What you do for three days, besides hating the jeep, especially if you're sitting in the back, is seeing dunes and seeing the sea, repeatedly. You have little contact with the indigenous populations, and to them, you're just a dollar walking.
You meet their gaze only when you hand over your gift at one of the hundreds of roadblocks they've created with ropes and handkerchiefs. To pass, you have to give a package of rice, or coffee, or biscuits. They don't work, except for the few who run a stall or a 'restaurant'; they don't go to school, they live depending on our passage.
Things I understood
So no, I didn't understand Colombia; it's beautiful, but I've seen more beautiful places. It's cheerful and colorful, but it's also so sad and so poor. Then I took my return flight from Bogotá. And I said goodbye to South America.
For me, Colombia represented a moment of awareness and also a moment of courage. I listened to myself, allowed myself to get bored, delegated, created space. And this space allowed me to create this newsletter. So now I'm a little less afraid, I believe in myself a bit more, also thanks to you who read me. And maybe I'm ready for Brazil too.
If you want to support my travel stories because you like them and so that I can dedicate more time and care to them, you can buy me a drink.
Until next time, what do you want me to talk about? Tell me in the comments. Besides telling me that you also get tired of everything...
If you want, you can do a lot of beautiful things. And not just here, but also in life.
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