“Un giorno sarò protagonista di un’avventura epica. Prenderò il mio zainetto, il mio laptop, girerò per gli ostelli, vedrò sorgere il sole dai vulcani, mi fermerò a lungo nei posti che mi piacciono, non dovrò pensare a quello che lascio, ma solo a quello che trovo, imparerò a surfare e arriverò al Machu Picchu camminando”. Figo, no?
Peccato che non sia andata così. Non era mai il momento giusto per acquistare un biglietto di sola andata. “Non ho tempo” e “Non ho soldi” erano le scuse di facciata. La scusa principale è che avevo paura. Del giudizio degli altri.
Poi per fortuna tutte le cose citate sopra le ho fatte, pure il surf. La mia prima lezione è stata anche l’ultima.
Questa è la storia della mia vita a puntate. Ti ho parlato di me, dell’Australia, dell’Asia e di Milano e di come la coerenza sia sopravvalutata e di quanto sia faticosa, ma bella la ricerca di una stabilità esteriore, che forse quando hai quella interiore, non è necessaria.
In quest’ultimo episodio ti racconto come ho trovato il coraggio di partire con un biglietto di sola andata per il Sud America.
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Io ho paura
Molti mi chiedono: “Ma non hai paura?” Certo che ho paura. Mi faccio mille pare. Ho paura di vivere la mia vita pienamente e come voglio io. Ho paura di non essere all’altezza, del giudizio degli altri, di essere sempre quella diversa, incompresa. Ma forse quel senso di estraniamento, significa semplicemente essere se stessi.
Da quando ho imparato ad accettare che essere Ilaria, significa: essere libera, flessibile, aperta mentalmente, viaggiare, stufarsi un po’ di tutto e tutti, essere insofferente, impulsiva, tirare pipponi a tutti e non trovare un posto fisso, se non me stessa, che non mi pare poco, mi piaccio un po’ di più. Perché ho imparato ad accettare che queste sono parti di me e se non le accetto sarò sempre in lotta con me stessa. E comunque lo sono.
Quindi recentemente, ho deciso che è inutile che io cerchi di incanalarmi in una vita che non mi rappresenta. Faccio un esempio. È inutile che io faccia quella che si sveglia, fa la beauty routine, va al lavoro, cammina veloce, la metro, beve il caffè nello stesso bar, i colleghi, le stesse chiacchiere, gli stessi problemi, le stesse risate, le stesse lamentele senza fare niente per cambiare, gli aperitivi, la palestra, la cena, di nuovo la beauty routine e il tempo trascorso a rincorrerlo, a non averlo e a lamentarsi di non averlo.
Detto questo, non c’è nulla di male nell’avere una routine. Soprattutto una beauty routine. Anzi, io la trovo confortante. Solo che non fa per me. E io ci ho provato e riprovato, a vivere a Udine, a Milano, a Londra, a Melbourne, a Granada. Devo dire che la Spagna mi piace molto e forse una routine a base di vermuth, tapas e i pipponi, che tirano gli spagnoli ce l’avrei volentieri. Qual è la tua routine?
Il treno sbagliato
E quindi forse una volta che mi sono conosciuta e mi sono veramente accettata per quella che sono, è diventato tutto più semplice. Che poi è strano, perché non è che gli altri ti impediscano di partire, anzi gli altri sono pure contenti se tu stai bene e fai quello che senti. Ma gli altri sono preoccupati che tu non abbia un ragazzo, una famiglia, un contratto a tempo indeterminato, semplicemente che tu non abbia il loro stesso progetto.
Però dobbiamo normalizzare se una persona è single a 40 anni, se non ha figli e se continua a salire sugli aerei. Magari sta facendo il suo percorso, che è diverso dal tuo. Magari a volte anche tu sogni di essere al suo posto. Magari a volte, anche lei sogna di essere al tuo posto. E nessuno di questi posti è sbagliato. Solo che devono essere tuoi. Perché se sono di qualcun altro, ti fanno sentire sempre al posto sbagliato.
Il mio terapista mi diceva sempre: “Ilaria, lei è sul treno sbagliato. Deve accorgersene, scendere dal treno e salire su quello giusto”. Mi diceva, perché adesso l’ho capito e mi dice altre cose, ma intanto ci ho messo 42 anni a fare questa cosa di scendere dal treno sbagliato e salire su quello giusto. E a volte quando sono in stazione, ho ancora la tentazione di salire sul treno sbagliato, ma per fortuna è già partito.
Forse tutto nasce dal desiderio di essere compresi. E quindi io pur di essere compresa, vorrei vivere una vita più convenzionale e ci provo, sempre. Ma non mi appartiene e quindi saltano fuori vite goffe, relazioni sbagliate, amicizie che potrebbero essere più autentiche, situazioni in cui bevo l’ultimo bicchiere per superare il disagio, finti entusiasmi, troppi “sì” e troppo pochi “no”. Però adesso basta.
Come ho fatto?
Questa è una domanda ricorrente. Mi viene chiesto come faccio, mi viene detto spesso: “ammiro il tuo coraggio, la tua indipendenza, la tua forza”. E io non credo di avere queste caratteristiche, semplicemente è arrivato un momento in cui ho dovuto fare i conti con me stessa.
La vita che vivevo, seppur ricca di avventure e colpi di scena creati da me, non era pienamente la mia. Ricalcava sempre un po’ uno schema pre-confezionato da altri. Magari era quella che avrebbero sperato i miei genitori per me: il fidanzato, la famiglia, il lavoro della mia vita, i figli. E forse lo speravo anche io, ma non è successo. E forse perché dentro di me, non lo volevo veramente. E ho dovuto accettare di non volerlo, prima di poter vivere la mia, di vita. E adesso anche per i miei genitori, l’importante è che io stia bene.
L’ho fatto con anni e anni di terapia. Tutto qua. Cinque anni fa, ho deciso di capire cosa non andasse in me, cosa migliorare. E all’inizio ho fatto molta resistenza, faticavo a trovare una connessione autentica con me stessa, a sintonizzarmi, non capivo molte cose che lo strizza mi chiedeva. “E adesso cosa sente?” e io per anni ho risposto: “Nulla”, perché per tutta la mia vita non ho sentito nulla. Ho sepolto me stessa con tanti aperitivi, amici da vedere, cose da fare, persone da compiacere.
Fino a quando grazie all’analisi, ho cominciato a togliere, creando uno spazio interiore, che mi permettesse di sentire. Purtroppo la terapia è ancora un tabù, si pensa ancora di potercela fare da soli e alcune persone ce la fanno, hanno una capacità di analisi e di introspezione più forte rispetto ad altre. Magari per alcune persone terapia significa meditare, fare yoga, andare in montagna. Non significa necessariamente parlare con uno psicologo. Però chiedere aiuto ad un professionista, può servire a scaricare sensi di colpa atavici, a vivere liberi, magari in connessione con se stessi.
Oggi episodio pippone, me ne rendo conto. A volte sono leggera, a volte ironica, a volte provoco, a volte sono pesante. Forse in questa newsletter, sono semplicemente vera. E volevo raccontarti cosa ha funzionato per me: la terapia. Che mi ha permesso di comprare quel biglietto di sola andata Milano-Buenos Aires. Che poi era il titolo di questa newsletter e non ne ho parlato per niente di come è andato quel viaggio. Ma ho parlato di come ho trovato il coraggio di farlo.
Il mio consiglio della settimana, è quello di leggere la newsletter
del mio amico anche lui grande viaggiatore e digital nomad.Vuoi leggere l’articolo precedente? Eccolo qui:
A mercoledì prossimo
Ilaria
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🇦🇺 “One day I will be the protagonist of an epic adventure. I will take my backpack, my laptop, wander through hostels, watch the sunrise from volcanoes, stop in places I like, not having to think about what I leave behind, but only about what I find. I will learn to surf and I will arrive walking for days at Machu Picchu”. Cool, right?
Too bad it didn't go that way. It was never the right time to buy a one-way ticket. "I don't have time" and "I don't have money" were the facade excuses. The main excuse was that I was afraid. Afraid of others' judgment.
Then fortunately, I've done all the things mentioned above, including surfing. My first lesson was also my last.
This is the story of my life in episodes. I've talked about myself, Australia, Asia, and Milan, and how coherence is overrated and how the pursuit of external stability is both challenging and beautiful, though maybe unnecessary when you have inner stability.
In this last episode, I'll tell you how I found the courage to leave with a one-way ticket to South America.
If you enjoy my stories and find it valuable that I share my experiences, successes, and failures, you can subscribe (by clicking the pledge button) or simply offer me a drink.
But I am afraid
Many ask me how I manage not to be afraid. But I am afraid. I'm afraid of living my life fully and as I want. Afraid of not being enough, of others' judgment, of always being different, misunderstood, only to realize that this sense of alienation simply means being oneself.
Since I've learned to accept that being Ilaria means being free, flexible, open-minded, traveling, getting tired of everything and everyone, being impatient, impulsive, and not finding a fixed place, except myself, which is not a small thing, I like myself much more. Because I've learned to accept that these are parts of me, and if I don't accept them, I'll always be in a struggle with myself.
So recently, I decided that it's useless for me to try to fit into a life that doesn't represent me. For example, it's useless for me to be the one who wakes up, does the beauty routine, goes to work, drinks coffee in the same bar, with colleagues, the same chats, the same problems, the same laughter, the same aperitifs, and the time spent complaining about time, not having it, and not having enough of it.
That said, there's nothing wrong with having a routine. Especially a beauty routine. In fact, I find it comforting. It's just that it's not for me. And I've tried it over and over, living in Udine, Milan, London, Melbourne, Granada. I must say I really like Spain, and maybe a routine based on vermouth, tapas, and lively Spanish discussions is something I would gladly have. What's your routine?
The wrong train.
So maybe once I got to know myself and truly accepted myself for who I am, everything became simpler. It's strange because others don't prevent you from leaving; on the contrary, they're happy if you're well and doing what you feel. But others are worried that you don't have a boyfriend, a family, a permanent contract, simply that you don't have their same plan.
We need to normalize if a person is single at 40, if they don't have children, if they keep getting on airplanes. Maybe they're on their own path, which is different from yours. Maybe sometimes you also dream of being in their place. Maybe sometimes, they too dream of being in your place. And neither of these places is wrong. They just have to be yours. Because if they belong to someone else, they always make you feel in the wrong place.
My therapist always used to say, "Ilaria, you're on the wrong train. You need to realize it, get off the train, and get on the right one." He used to say that because now I understand it, and he says other things to me now, but it took me 42 years to do this thing of getting off the wrong train and getting on the right one. And sometimes when I'm at the station, I still have the temptation to get on the wrong train, but fortunately, it has already left.
Perhaps it all stems from the desire to be understood. So, just to be understood, I would like to live a more conventional, more ordinary life, and I try, always. But it doesn't belong to me, and so clumsy lives, wrong relationships, friendships that could be more authentic, situations where I drink the last glass to overcome discomfort, fake enthusiasms, too many "yes" and too few "no" emerge. But now it's enough.
How did I do it?
This is a recurring question. I'm asked how I do it, and I'm often told, "I admire your courage, your independence, your strength." And I don't think I have these characteristics; it's just that a moment came when I had to reckon with myself.
The life I was living, though rich in adventures and unexpected turns created by me, was not entirely mine. It always followed a pre-packaged pattern from others. Maybe it was what my parents would have hoped for me: a boyfriend, a family, the job of my life, children. And maybe I hoped for it too, but it didn't happen. Perhaps because inside me, I didn't want it. And I had to accept that I didn't want it before I could live my own life. And now even for my parents, the important thing is that I am well.
I did it with years and years of therapy. That's all. Five years ago, I decided to understand what was wrong with me. And at first, I resisted a lot; I struggled to find an authentic connection with myself, to tune in, I didn't understand many things that the therapist asked. "And now, what do you feel?" and for years, I answered, "Nothing" because for my whole life, I felt nothing. I buried myself with many aperitifs, many friends to see, many things to do, many people to please.
Until, thanks to therapy, I started letting go, creating an inner space that allowed me to feel. Unfortunately, therapy is still a taboo; we still think we can handle it alone, and some people can; they have a stronger ability for analysis and introspection than others. Maybe for some people, therapy means meditating, doing yoga, going to the mountains. It doesn't necessarily mean talking to a psychologist. But asking for help from a professional, helps to unload atavistic guilt, to live freely, perhaps in connection with oneself.
Today, it's an intense episode, I know. Sometimes I'm light, sometimes ironic, sometimes provocative, sometimes heavy. Maybe in this newsletter, I'm simply real. And I wanted to tell you what worked for me: analysis. What allowed me to buy that one-way ticket Milan-Buenos Aires. Which, by the way, was the title of this newsletter, and I haven't talked at all about how that trip went.
If you want, you can do a lot of beautiful things. And not just here, but also in life.
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L’episodio pippone ci sta tutto! 😂
Grande Ilaria, sempre un piacere leggerti.
Anch’io devo ammettere di aver risolto tanti problemi con la terapia, non dico di essere guarito (chi lo è mai del tutto?), ma più in controllo e con molta più consapevolezza.
“Ma davvero credi che vado a raccontare le mie menate ad uno sconosciuto?” Quoted