Poi un giorno mi sono stufata dell’Australia. Era troppo lontana dall’Italia, dall’Europa e dal mondo. Le relazioni mi sembravano fragili, mi mancava la cultura, il caffè al banco e quel dramma tutto italiano, le esagerazioni, l’essere permalosi e il parlare male degli altri.
Mi mancavano soprattutto i pipponi: quella cosa tutta italiana, per cui si affronta per ore un determinato argomento, lo si analizza, si fanno gli off topic, ci si parla sopra, si ride, si piange, si ordina un altro giro.
Io volevo di nuovo circondarmi di persone pesanti. In Australia, mi sembravano tutti leggeri, ma non superficiali, spensierati ed easy going.
Volevo anche che ci fosse altro, oltre ad andare in ufficio durante la settimana e vivere solo durante il weekend. Per poi uscire con gli amici, bere e per qualche ora dimenticarsi di quella vita così pre-impostata, così 9am-5pm.
Questo modo di vivere all’insegna di frasi come “I hate Mondays” oppure “Thank God it’s Friday”. Faceva ridere, ma faceva anche tristezza e soprattutto non faceva per me.
Questo è il quarto episodio della storia della mia vita, a puntate. Prima ti ho raccontato come volevo fare la giornalista, ma poi ho finito per viaggiare. Poi ti ho spiegato come volevo visitare l’Asia e mi sono ritrovata a vivere in Australia. Io credo che la coerenza oggi giorno sia sopravvalutata.
Continua a leggere, perché in questo episodio ti racconterò cosa vuol dire tornare a vivere in Italia, dopo tanti anni all’estero.
Prima di continuare, ti ricordo che stai leggendo la mia newsletter, che è la cosa più preziosa che ho in questo momento e fa parte del “Progetto Ilaria”. Non so bene nemmeno io cosa sia, ma so che diventerà qualcosa.
Se ti piacciono i miei racconti, trovi utile il fatto che io condivida i miei pensieri e le mie vulnerabilità e vuoi valorizzare il tempo e l’emotività che impiego ogni settimana a scrivere questa newsletter, puoi abbonarti (cliccando sul tasto pledge) oppure semplicemente offrirmi un aperitivo.
Io mi stufo di tutto e di tutti
Che poi io sono così, diciamocelo, io mi stufo di tutto. Mio papà me lo dice sempre: “Tanto poi Ilaria si stufa e cambia tutto”. Anche mio fratello è sempre sorpreso dalla velocità con cui disfo e ricostruisco. Mia madre è piacevolmente rassegnata.
Come funziona? Io sto vivendo una situazione, un luogo, una relazione, un’amicizia, un lavoro, un’esperienza qualsiasi. D’improvviso mi fisso che questa cosa non funziona più e la cambio drasticamente.
Concentro tutte le mie energie nel nuovo progetto e poi sono soddisfatta per qualche settimana, mese, persino anni, quando mi va bene. Fino a quando poi non mi stufo e ricomincia tutto da capo.
Questa attitudine mi ha portato a vivere tante vite. Ma anche a vivere una vita da nomade, con pochi punti di riferimento, tanta curiosità, poca costanza, pochi amici fissi, solo quelli che resistono a questi scossoni.
Poi negli anni, ho capito che facevo così perché ero troppo compiacente, avevo paura di esprimermi ed essere me stessa. Quindi sopportavo tante situazioni, finché non sbottavo e facevo i bagagli. Per poi ritrovarmi nella situazione successiva, non necessariamente autentica nemmeno quella. Adesso che faccio un po’ quello che voglio e che quello che sento, questo disfa e ricostruisci è meno estremizzato.
Mi mancava l’Europa
Questo è quello che è successo quando ho deciso di lasciare l’Australia. C’ero arrivata con un visto turistico e molta spensieratezza in una mano, l’ho lasciata cinque anni dopo con un passaporto australiano e un’azienda tutta mia, nell’altra. Ho lasciato anche la spensieratezza in Australia.
Così d’improvviso decido che mi mancava l’Europa, che è una sensazione indescrivibile, fatta di tutte quelle cose che ho elencato sopra, all’inizio di questa newsletter e altre: le persone, i pipponi, la cultura, il vino, l’aperitivo, le capitali europee, le Dolomiti (che secondo mia mamma, potevo fare a meno di andare fino in Patagonia) Easy Jet e persino Ryanair, lo sciopero, gli amici intellettuali, la politica, le tre di notte a parlare, flirtare, la mozzarella di bufala e le tapas, il treno fino a Parigi e le canne ad Amsterdam.
Così vado a vivere a Milano
Udine, la mia città Natale, come dico sempre quando sono all’estero: “Close to Venice, between Austria and Slovenia”, non poteva darmi quella sensazione di capitale europea, ma Milano sì.
Compro un biglietto Melbourne-Milano solo andata. Mi ricordo che ho pianto tanto all’aeroporto, mi ha accompagnato il mio socio, si chiudeva un importante capitolo della mia vita. Se ne apriva un altro. Quello in cui avrei cominciato ad essere autentica.
Il fascino di Milano
Milano aveva quel fascino che mi aspettavo: il cielo plumbeo, la moda, il bicchiere di vino a 7 euro, i locali hipster, l’Accademia di Brera, i Navigli e la Movida, la metropolitana che ti porta un po’ ovunque, la Martesana e Nolo, i bike sharing, i car sharing e i mono-pattini sharing, il sindaco Sala, il Cinemino che ci vuole la tessera, il Bulgari Hotel dove bere l’aperitivo d’estate, che non sai mai se lui la sta pagando o è vero amore, i co-working, via Tortona e i concerti da Base, i vini naturali e la Esselunga di Papiniano, i date online e offline, quello snobismo e quella sensazione che non sarai mai all’altezza di Milano, ma intanto la ami, anche se poi ti lamenti che Uber, non è passata la legge, non ci sono abbastanza taxi, quando c’è sciopero il venerdì è invivibile, che è cara, che ci sono più Airbnb che case in affitto, che devi sempre vestirti bene, devi avere quello stile milanese, con un pezzo classico italiano, come i mocassini Gucci oppure Tod’s, un pezzo contemporaneo come la collana di acrilico di qualche designer sconosciuto e quel cappotto vintage che usava tua madre. Oversize.
Prima di andarci a vivere, Milano me la immaginavo alla Scerbanenco (ndr. scrittore, giornalista e maestro del noir italiano), con quel clima un po’ decadente, la criminalità elegante dei milanesi, immischiati con mafiosi un po’ più rozzi, la coca, i soldi e le pistole e quella voglia di affermarsi, che poi nella maggior parte dei casi non ce la fai o finisci male. Adesso me la immagino più come la Milano di Carlo Monterossi, questo personaggio ironico, ricco, annoiato, inventato dallo scrittore Alessandro Robecchi, che in mezzo a indagini non ufficiali, assiste allo spettacolo dell’umanità, cerca di capire cos’è l’amore.
Ecco a me questa Milano piace. Ma non mi ha intrappolato in una vita fatta di ufficio, metro, aperitivi e bollette. Anzi, rappresenta la mia base felice, da cui partire ogni volta e a cui ritornare.
Non mi ha impedito di viaggiare attraverso la Cina, le Filippine e Bali, di trascorrere quasi un anno in Australia durante la pandemia, né di realizzare il sogno della mia vita, quello di partire con un biglietto di sola andata per il Sud America. E di come ho trovato il coraggio ne parlerò nella prossima newsletter.
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A mercoledì prossimo
Ilaria
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🇦🇺 One day, I got tired of Australia. It was too far from Italy, from Europe, and from the world. Relationships seemed fragile to me, I missed the culture, drinking a coffee standing at the bar, and that distinctly Italian drama—exaggerations, arguments, goppis.
I especially missed the "pipponi": that very Italian thing where you discuss a certain topic for hours, analyze it, go off topics, talk over each other, laugh, cry, order another round.
I wanted to surround myself with substantial people again. In Australia, everyone seemed light, not superficial, carefree, and easy-going.
I also wanted there to be more than just going to the office during the week and living only on weekends. Going out with friends, having a drink, and forgetting about that pre-set life, that 9 am-5 pm routine.
Living in a way that revolved around phrases like "I hate Mondays" or "Thanks God it’s Friday" was amusing, but it was also sad, and most importantly, it wasn't for me.
This is the fourth episode of the story of my life, in installments. First, I told you how I wanted to be a journalist, but then ended up traveling. Then, I explained how I wanted to visit Asia and found myself living in Australia. I believe consistency is overrated these days.
Keep reading, because in this episode, I'll tell you what it's like to return to living in Italy after many years abroad.
Before we continue, I remind you that you are reading my newsletter, which is the most precious thing I have right now and is part of the "Ilaria Project." I'm not quite sure what it is, but I know it will become something.
Maybe I'm simply investing in myself. If you also want to invest in me because you like my stories, find it useful that I share my thoughts and vulnerabilities, and want to value the time and emotion I put into writing this newsletter every week, you can subscribe (by clicking on the pledge button) or simply buy me a drink.
I get tired of everything and everyone.
Because, you know, that's how I am. My dad always says it: "Ilaria gets tired and changes everything." Even my brother is always surprised by how quickly I dismantle and rebuild. How does it work? I'm living a situation, a place, a relationship, a friendship, a job, any experience.
Suddenly, I realize that this thing doesn't work anymore, and I change it drastically. I focus all my energy on the new project, and then I'm satisfied for a few weeks, months, even years for the best projects. Until I get tired again, and it all starts over.
This attitude has led me to live many lives. But also to live a nomadic life, with few reference points, with a lot of curiosity, but little constancy.
Then over the years, I understood that I did this because I was too complacent, afraid to express myself and be myself. So, I endured many situations until I exploded and packed my bags. Only to find myself in the next situation, not necessarily authentic. Now that I do a bit of what I want and express what I feel, this dismantle and rebuild is less extreme.
I missed Europe
This is what happened when I decided to leave Australia. I had arrived with a tourist visa and a lot of carefreeness in one hand, and I left five years later with an Australian passport and my own company in the other. I also left carefreeness in Australia.
So, suddenly, I decide that I missed Europe, which is an indescribable feeling, made up of all the things I listed above at the beginning of this newsletter and others: the people, the "pipponi," the culture, the wine, the aperitivo, European capitals, the Dolomites (which according to my mom, I could do without going all the way to Patagonia), EasyJet, and even Ryanair, the strikes, intellectual friends, politics, three nights of talking, flirting, talking with strangers, buffalo mozzarella, and tapas, the train to Paris, and joints in Amsterdam.
So, I go live in Milan
Udine, my hometown, as I always say when I'm abroad: "Close to Venice, between Austra and Slovenia," couldn't give me that feeling of a European capital, but Milan could.
I buy a Melbourne-Milan ticket for the first time, I remember crying a lot at the airport, my business partner accompanied me, an important chapter of my life was closing. Another one was opening. The one where I would start to be authentic. At my own pace.
The charm of Milan
Milan had that charm that I expected: the leaden sky, fashion, a 7-euro glass of wine, hipster places, Brera Academy, the Navigli and the nightlife, the metro that takes you almost everywhere, the Martesana and Nolo, bike sharing, car sharing, and scooter sharing, Mayor Beppe Sala, Cinemino that requires a membership card, Bulgari Hotel where you can have summer aperitifs, where you never know if he is paying or it's true love, co-working spaces, Via Tortona, and concerts at Base, natural wines, and Papiniano Esselunga, online and offline dates, that snobbishness, and that feeling that you'll never measure up to Milan, but in the meantime, you love it, even if you then complain that Uber didn't pass the law, there aren't enough taxis, when there's a strike on Fridays, it's unbearable, it's expensive, there are more Airbnbs than rental houses, you always have to dress well, have that Milanese style, with a classic Italian piece like Gucci or Tod’s loafers because now Chiara Ferragni is the CEO, a contemporary piece like an acrylic necklace from some unknown designer, and that vintage coat your mother used. Oversized.
Before going to live there, I imagined Milan like Scerbanenco, (note: writer, journalist, and master of Italian noir) with that somewhat decadent atmosphere, the elegant criminality of Milanese, mixed with slightly rougher mobsters, cocaine, money, guns, and that desire to assert yourself that in most cases you either don't make it or end up badly. Now I imagine it more like Carlo Monterossi's Milan, this ironic, bored character invented by Alessandro Robecchi, who, amid unofficial investigations while watching the spectacle of humanity, tries to understand what love is.
This is the Milan I like. But it hasn't trapped me in a life of offices, metro rides, aperitivos, and bills. On the contrary, it represents my happy base, from which to depart each time and to return to.
It hasn't prevented me from traveling through China, the Philippines, and Bali, spending almost a year in Australia during the pandemic, nor from realizing the dream of my life—to embark on a one-way ticket journey to South America. I'll talk about how I found the courage for that in the next newsletter.
In this newsletter, I reference Italian noir authors and Italian/Milanese places and characteristics. I apologize if it's not clear; if you have any questions, please leave a comment or write to me privately. See you next Wednesday,
Ilaria
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Mi sento súper sincronizzata con te e mi hai fatto tanto ridere quando hai descritto Udine in inglese. Lo stesso vale per me con Livorno "close to Pisa and Florence but we have the sea" Qui viene fuori il mio orgoglio livornese. E poi?I lamenti, I pipponi tipici europei e italiani, dove li trovi quelli? Ahahaha capisco perfettamente cosa voglia dire fare e disfare perché anch'io sono fatta così anche se ammetto che negli ultimi anni riesco a "annoiarmi" meno. Nella mia newsletter che uscirà venerdì ti renderai meglio conto della sincronicità ❤️🌷 un abbraccio
Bellissimo leggerti. E sai perché? Perché leggere di una persona che vive Milano così diversamente da come la vivo io, è quasi ipnotizzante. Ho vissuto Milano per qualche anno, tra il 2015 e il 2018, ho avuto la possibilità di trasferirmi, ci ho pensato, ho fatto dei test e ho detto no. Ogni sera, quando riprendevo il treno per tornare in Emilia, mi sembrava quasi di tornare ad alleggerire l'anima.
E credimi se ti dico che Milano la adoro, mi piace da pazzi e ha quartieri che ho sempre piacere a frequentare. Ma NON è la mia città. Per tutto quello che hai descritto, la mia anima la sentivo come ricoperta da una nebbia austera (non quella vera, che c'è pure in Emilia 😂), che non se ne andava via fino alla mia ripartenza.
Forse l'unica città al mondo che mi provoca questo.