Io sono team "se vuoi puoi" a prescindere, come premessa di vita necessaria in generale, ma credo anche in Italia ci sia una cultura particolarmente sfavorevole a questo stile di vita, sia per le condizioni economiche sicuramente peggiori di altri paesi dove l'anno sabbatico è un rituale di passaggio per tutti, come i nordics, sia per valori tradizionali a cui siamo ancora (secondo me troppo) legati. In pratica, credo che i sensi di colpa se lasci la famiglia e il lavoro fisso sull'italiano medio siano più alti che nel resto d'Europa.
Amen. Io giro da anni dicendo che sì, bella la famiglia italiana, il supporto, l'amore, il volemose bene... Ma la linea di demarcazione tra volemose bene/cura e controllo/sovraprotezione è sottilissima.
È per molt3 una rete protettiva, è anche un attimo che quella rete ti si chiuda intorno e diventi gabbia, una gabbia che ti dice "ma lo faccio per il tuo bene".
Per mia fortuna a me non è accaduto, ma negli anni ho sentito di un sacco di gente avviluppata in questo genere di famiglia. È molto comune, da noi. Poi il disagio c'è ovunque, da noi prende questo aspetto, dove il gap year è la norma ne prende ancora altri (avoja se ne prende)
Sicuramente quel "non posso" è dettato anche dall'età e ogni fascia ha le sue. Quando sei troppo giovane, non hai le possibilità economiche; quando inizi ad averle inizi anche a non avere il tempo, perché devi darti alla carriera e cominciare a costruirti qualcosa. Quando ti sei costruito l'esperienza in quel qualcosa, si spera che tu sia diventato anche indipendente nel frattempo, ed è probabile che tu abbia raggiunto l'età per crearti una famiglia, e allora sì che avrai ancora meno tempo. E dopo ancora diventa un "non potrai mai fino alla pensione". Mi sembra questa la narrazione comune, almeno qui in Italia, quello che tanti si raccontano.. dal mio canto cerco di tirarmi fuori da questa visione e di osservarla distaccatamente, quantomeno per non caderci prima che sia "troppo tardi". Alla fine tutte queste scadenze siamo noi ad inventarcele e ad auto-imporcele per sentirci accettati dalla società, dovremmo solo trovare il coraggio di rinunciare a quello che agli altri piacerebbe che facessimo e (magari neanche sempre, qualche volta) dire "anche io posso" e fare quel che invece piacerebbe fare a noi. Il coraggio di andare contro tutti però scarseggia. 🥲
I so agree with you about returning back to your home after a year of travels & feeling totally out of place & I even wished I'd never left and that all that travel has now just confused me more! I wish I'd stayed away but now I will travel again just to make sure that my travels were amazing but also confronting & hard at times. But I just want to confirm they were as good as I remember?! I don't regret them but I feel that your home coming is not what you imagined if you know what I mean! And yes we are so lucky in Australia & NZ that it is normal to take a length of time at any stage of life to explore the world. We are incredibly privileged in that aspect. And so one should take that opportunity & run with it, fears & all.
I have returned home many times so far, and I always thought I could fix or tolerate this feeling of discomfort until I gave up. I am not the same person. I like when you say 'I wished I'd never left.' I actually wished I'd never returned. And yes, Australia and New Zealand can be a good touch base. We totally get each other's after this experience ❤️
Secondo me (in arrivo una risposta pallosissima, democristiana, proprio) la verità sta nel mezzo, perché non siamo né un prodotto solo della nostra volontà, né unicamente delle nostre circostanze.
C'è un po' di entrambe le cose, nel mix; sicuramente come si diceva sopra con Daria la società italiana è molto immobilista, probabilmente anche perché costantemente in preda allo spettro di dis- o sottoccupazione.
Io sono cresciuta a Milano che come dici ha tanti difetti, ma sicuramente non quello di dirti "no non puoi", anzi, è una città che spinge molto al fare, però anche così per me il vero cambio di chip è stato andare a vivere a Istanbul a vent'anni, ed essere esposta a modi di vivere estremamente diversi da ciò che si vedeva in Italia all'epoca. Mi si è aperto il diaframma, e devo dire che purtroppo non mi è mai più passata la sensazione di vivere meglio fuori (e ormai sono 16 anni che.)
Condivido al 100% quello che hai scritto, ho avuti esperieze simili e per esempio trasferendomi da Vicenza a Budapest ho trovato la differenza paesino città e molta ispirazione per dire "io posso". Credo che sia anche un discorso di priorità che ci diamo.
Credo sia più un discorso di provincia o paesino rispetto alla grande città. Qui ci vedo meno cultura italiana. Le stesse cose me le son sentite dire in altri paesi, se mi rapportavo in contesti "piccoli". Poi sì, nella nostra cultura è molto lontano il "vai e segui i tuoi sogni", questo sì.
In questo caso però mi trovo in una situazione diversa, già qualche anno fa ho iniziato a sentirmi meno a disagio nei rientri, fino ad arrivare alla situazione attuale in cui sono sicuramente più stanziale e felice di esserlo per diversi motivi (viaggio tanto per lavoro tutto l'anno, ma non col modus operandi di prima).
Però sono dovuto passare da un processo di accettazione di discorsi come quelli che citi e in un certo senso ho provato anche a capire cosa sta dietro questi proclami sullo stile "non posso".
E il sentimento di invidia misto compassione che si prova nel tornare nel proprio paesello e vedere gli amici di sempre, ancora li'. Fermi. Immobili. Sempre li'. Certo, e' bello avere un porto sicuro in cui attraccare e sentirsi subito parte di un tutto, ma chissa' come si sentono loro, bloccati li tra quelle mura medievali, nella valle o sul colle. Chissa' che bene che stanno, avendo un mondo intero ma piccolissimo ai loro piedi e non volendo mai esplorare un po' piu' in la'. Chissa' se pensano che noi, con una vita in 20 kili di valigia e un cuore lontanissimo, siamo da compatire, per non aver trovato pace proprio sotto casa.
Effettivamente come si sentono loro non l'ho mai capito, perché gli amici non mi dicono quasi mai "beata te", mi raccontano delle loro vite. E allora forse (in maniera giustamente egoistica) ognuno è incentrato sulla sua vita, ma non pensa che magari uscire dalla comfort zone potrebbe essere sempre una buona idea!
Io sono team "se vuoi puoi" a prescindere, come premessa di vita necessaria in generale, ma credo anche in Italia ci sia una cultura particolarmente sfavorevole a questo stile di vita, sia per le condizioni economiche sicuramente peggiori di altri paesi dove l'anno sabbatico è un rituale di passaggio per tutti, come i nordics, sia per valori tradizionali a cui siamo ancora (secondo me troppo) legati. In pratica, credo che i sensi di colpa se lasci la famiglia e il lavoro fisso sull'italiano medio siano più alti che nel resto d'Europa.
Vero, il senso di colpa gioca un ruolo determinante, aggiungerei anche quel senso del sacrificio che ti impedisce persino di lavorare con vista mare.
Il senso del sacrificio! Oddio. Sì esatto
Amen. Io giro da anni dicendo che sì, bella la famiglia italiana, il supporto, l'amore, il volemose bene... Ma la linea di demarcazione tra volemose bene/cura e controllo/sovraprotezione è sottilissima.
È per molt3 una rete protettiva, è anche un attimo che quella rete ti si chiuda intorno e diventi gabbia, una gabbia che ti dice "ma lo faccio per il tuo bene".
Per mia fortuna a me non è accaduto, ma negli anni ho sentito di un sacco di gente avviluppata in questo genere di famiglia. È molto comune, da noi. Poi il disagio c'è ovunque, da noi prende questo aspetto, dove il gap year è la norma ne prende ancora altri (avoja se ne prende)
Sono d'accordo, sul fronte controllo, come scrivo nel racconto, "gli altri" hanno quasi bisogno che tu ti incanali
Amo il luogo dove sono nata, ma in effetti troppo spesso provincia è chiusura.
Tanti tanti complimenti.
Grazie!
Sicuramente quel "non posso" è dettato anche dall'età e ogni fascia ha le sue. Quando sei troppo giovane, non hai le possibilità economiche; quando inizi ad averle inizi anche a non avere il tempo, perché devi darti alla carriera e cominciare a costruirti qualcosa. Quando ti sei costruito l'esperienza in quel qualcosa, si spera che tu sia diventato anche indipendente nel frattempo, ed è probabile che tu abbia raggiunto l'età per crearti una famiglia, e allora sì che avrai ancora meno tempo. E dopo ancora diventa un "non potrai mai fino alla pensione". Mi sembra questa la narrazione comune, almeno qui in Italia, quello che tanti si raccontano.. dal mio canto cerco di tirarmi fuori da questa visione e di osservarla distaccatamente, quantomeno per non caderci prima che sia "troppo tardi". Alla fine tutte queste scadenze siamo noi ad inventarcele e ad auto-imporcele per sentirci accettati dalla società, dovremmo solo trovare il coraggio di rinunciare a quello che agli altri piacerebbe che facessimo e (magari neanche sempre, qualche volta) dire "anche io posso" e fare quel che invece piacerebbe fare a noi. Il coraggio di andare contro tutti però scarseggia. 🥲
Mi piace questa riflessione, è una vita scandita da una serie di tappe obbligate a cui è difficile sottrarsi e il partire aiuta ad essere liberi!
I so agree with you about returning back to your home after a year of travels & feeling totally out of place & I even wished I'd never left and that all that travel has now just confused me more! I wish I'd stayed away but now I will travel again just to make sure that my travels were amazing but also confronting & hard at times. But I just want to confirm they were as good as I remember?! I don't regret them but I feel that your home coming is not what you imagined if you know what I mean! And yes we are so lucky in Australia & NZ that it is normal to take a length of time at any stage of life to explore the world. We are incredibly privileged in that aspect. And so one should take that opportunity & run with it, fears & all.
I have returned home many times so far, and I always thought I could fix or tolerate this feeling of discomfort until I gave up. I am not the same person. I like when you say 'I wished I'd never left.' I actually wished I'd never returned. And yes, Australia and New Zealand can be a good touch base. We totally get each other's after this experience ❤️
Secondo me (in arrivo una risposta pallosissima, democristiana, proprio) la verità sta nel mezzo, perché non siamo né un prodotto solo della nostra volontà, né unicamente delle nostre circostanze.
C'è un po' di entrambe le cose, nel mix; sicuramente come si diceva sopra con Daria la società italiana è molto immobilista, probabilmente anche perché costantemente in preda allo spettro di dis- o sottoccupazione.
Io sono cresciuta a Milano che come dici ha tanti difetti, ma sicuramente non quello di dirti "no non puoi", anzi, è una città che spinge molto al fare, però anche così per me il vero cambio di chip è stato andare a vivere a Istanbul a vent'anni, ed essere esposta a modi di vivere estremamente diversi da ciò che si vedeva in Italia all'epoca. Mi si è aperto il diaframma, e devo dire che purtroppo non mi è mai più passata la sensazione di vivere meglio fuori (e ormai sono 16 anni che.)
Sicuramente è un mix e magari per ognuno pesa un po' di più la volontà e per altri le circostanze.
Condivido al 100% quello che hai scritto, ho avuti esperieze simili e per esempio trasferendomi da Vicenza a Budapest ho trovato la differenza paesino città e molta ispirazione per dire "io posso". Credo che sia anche un discorso di priorità che ci diamo.
Vero, anche come spendiamo i nostri soldi è una questione di priorità che ci porta ad essere più o meno liberi
Credo sia più un discorso di provincia o paesino rispetto alla grande città. Qui ci vedo meno cultura italiana. Le stesse cose me le son sentite dire in altri paesi, se mi rapportavo in contesti "piccoli". Poi sì, nella nostra cultura è molto lontano il "vai e segui i tuoi sogni", questo sì.
In questo caso però mi trovo in una situazione diversa, già qualche anno fa ho iniziato a sentirmi meno a disagio nei rientri, fino ad arrivare alla situazione attuale in cui sono sicuramente più stanziale e felice di esserlo per diversi motivi (viaggio tanto per lavoro tutto l'anno, ma non col modus operandi di prima).
Però sono dovuto passare da un processo di accettazione di discorsi come quelli che citi e in un certo senso ho provato anche a capire cosa sta dietro questi proclami sullo stile "non posso".
Forse sono solo più vecchio... 😂
Si beh certo non si può sempre "combattere" ed è vero anche che in Italia "Vai e segui i tuoi sogni" io non credo di averlo mai sentito!
Yes but to stop travelling would be a Crime! So we will tolerate this feeling!!🥰
E il sentimento di invidia misto compassione che si prova nel tornare nel proprio paesello e vedere gli amici di sempre, ancora li'. Fermi. Immobili. Sempre li'. Certo, e' bello avere un porto sicuro in cui attraccare e sentirsi subito parte di un tutto, ma chissa' come si sentono loro, bloccati li tra quelle mura medievali, nella valle o sul colle. Chissa' che bene che stanno, avendo un mondo intero ma piccolissimo ai loro piedi e non volendo mai esplorare un po' piu' in la'. Chissa' se pensano che noi, con una vita in 20 kili di valigia e un cuore lontanissimo, siamo da compatire, per non aver trovato pace proprio sotto casa.
Effettivamente come si sentono loro non l'ho mai capito, perché gli amici non mi dicono quasi mai "beata te", mi raccontano delle loro vite. E allora forse (in maniera giustamente egoistica) ognuno è incentrato sulla sua vita, ma non pensa che magari uscire dalla comfort zone potrebbe essere sempre una buona idea!
All'estero sarà sicuramente tutto diverso, non perché io sia esterofila, ma perché ci sono più opportunità soprattutto economiche