E io che pensavo di vivere ai tropici
And here I was thinking I’d be living in the tropics
L’Australia per me è diventata questo: una routine che mi fa stare bene, una libertà che non devo conquistare, una community che mi accoglie senza giudizio. Non è la casa che mi immaginavo. Pensavo che sarei finita a vivere a Jericoacoara o a Puerto Escondido, oppure a Buenos Aires. Cioè pensavo che fossi una di quelle che poi va a vivere in un posto caldo, ozia, scrive, ha caldo, fa yoga, ci sono i ventilatori sul soffitto e mangia il mango ogni giorno. Mi immaginavo così, a metà tra fricchettona e digital nomad, ma non avrei mai camminato scalza, né avrei creato dei gioiellini per venderli in spiaggia.
Invece mi trovo in Australia, di nuovo. E felicemente. E anche qui posso mangiare il mango ogni giorno.
Ma non è sempre stato così: qualche anno fa sono andata via dall’Australia in confusione totale, con un senso di malinconia e incertezza. Non avevo ancora capito alcune cose fondamentali di me, dei luoghi e delle persone. Delle persone non ho ancora capito molto: mi manca un po’ di empatia, per il momento mi sto impegnando a non dare la mia opinione e ad ascoltare un po’ di più. Entrambe difficilissime.
👋 Ciao sono Ilaria!
Ogni tanto, di mercoledì, ti scrivo una newsletter. Sono in partenza per un viaggio on the road con tenda e 4x4, direzione Queensland e quindi prenderò una pausa dalla newsletter. Ogni tanto rallento, perché voglio fare spazio. Altrimenti con tutto questo fare quotidiano, rischi di perdere di vista le priorità della vita. Che nel mio caso sono: viaggiare e stare bene.
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“Vediamo quanto duri”, ma non sono uno yogurt
Da quando sono ferma, da qualche mese a questa parte e non ho un viaggio intercontinentale in programma, sento frasi del tipo: “Vediamo quanto duri”, “Ma adesso cosa farai?”, “Quanto ti fermi?”. La risposta a tutte queste frasi è: “Non lo so”.
La frase che mi sorprende di più è: “Vediamo quanto duri”. Non è una sfida e non ho mai fatto della coerenza il mio cavallo di battaglia. Cambiare idea mi ha reso curiosa e interessata alle cose più disparate tra loro.
Anche quel “adesso cosa farai” mi lascia perplessa. Come se ci fosse sempre un piano, una direzione, qualcosa da fare. Un orizzonte, un obiettivo. Questa cosa negli anni mi ha fatto soffrire molto, mi sentivo diversa a voler vivere alla giornata. Ora vivere il presente mi sembra l’unica possibilità.
Adesso sono qui, e qui sto bene. Mi sono chiesta le ragioni di questa sensazione di benessere in Australia, e non in Italia, dove invece ho tanto desiderato vivere — o meglio, fare base.
Quello che ho imparato dal viaggio è che il mio è un nuovo modo di vivere, che si applica a Udine, a Milano, a Bogotá e pure a Cusco. Mi sento come se fossi sempre nomade, anche quando sto ferma. Mi sembra di scoprire cose nuove ogni giorno, di mettermi in gioco ogni giorno.
Fermarsi (e magari anche comprare una lampada)
Oggi, per esempio, sono entrata in un negozio di lampade. L’esperto commesso era un australiano di origini italiane, appassionato di design. Ne sono uscita un’ora dopo, con una Tolomeo usata in mano.
Tralasciando le sue abilità da venditore, lui aveva voglia di parlare in italiano, lingua che non parla quasi mai in Australia. Io gli ho dedicato tutto il mio tempo e la mia attenzione. Certo che volevo tornare a casa a scrivere questa newsletter, ma allo stesso tempo ho deciso di smettere di correre e di dire alla gente: “devo andare” senza un reale motivo, se non una vita di fretta. Ok, a chi non sopporto lo dico ancora.
Però il viaggio mi ha insegnato proprio questo: a rallentare, a godermi una chiacchierata, a non vedere gli amici di fretta, ad ascoltare un po’ di più, a non vivere la vita come una corsa.
Ho trovato la lentezza senza cercarla
E quindi sì, a Melbourne mi trovo bene adesso. Dopo due anni in America Latina, questa città mi accoglie con una lentezza nuova, che oggi mi fa stare bene. Qui tutto scorre un po’ più piano: si lavora senza fretta, si chiacchiera volentieri, ci si prende il tempo. Forse non va nemmeno più di moda essere sempre occupati, produrre, correre.
Gli australiani leggono un libro al parco, provano e riprovano a salire sulla tavola da surf per ore, bevono il caffè seduti — al banco non esiste. E se cammini per strada nessuno ti supera, come succede a Milano, dove manca solo la freccia. Qui il passo è più lento, e va bene così.
Forse, quando ho vissuto in Australia per la prima volta, non ero ancora pronta per questo ritmo. Mi sembrava quasi assurdo. Ma due anni in Sud e Centro America mi hanno insegnato proprio questo: a rallentare, a prendermi il mio tempo, anche solo per una chiacchierata da bar. Non c’è fretta. Non ci sono altri luoghi in cui devo essere.
Certo, a volte mi viene da ridere. Tipo quando il barista mi prepara una birra e poi resta lì a parlare, tenendosela in mano. Potrebbe anche passarmela, eh, e continuare il discorso. Ma ormai ho imparato a stare. Anche lì.
E così, sono tornata in un luogo dove avevo già vissuto e da cui me n’ero già andata. Ma oggi ci torno diversa, perché non siamo mai la stessa persona nello stesso posto. Viaggiare, in fondo, è solo un modo di vivere.
Leggi il racconto precedente…
Un viaggio andato male
Quando immagino un viaggio, soprattutto se l’ho sognato a lungo, dentro di me si fa strada un’aspettativa sottile e potente: che sarà bellissimo. Che sarò felice, che ogni giorno sarà una sorpresa, che mangerò bene, mi divertirò, conoscerò persone fighissime e il luogo sarà meraviglioso.
Questa settimana ti segnalo la newsletter di che ha recentemente pubblicato “Ode alla lentezza” perché rallentare mette chiarezza ed è anche un po’ il senso della mia newsletter di oggi.
Ad un mercoledì,
Ilaria
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And here I was thinking I’d be living in the tropics
Australia has become this for me: a routine that makes me feel good, a freedom I don’t have to earn, a community that welcomes me without judgment. It’s not the home I had imagined.
I thought I’d end up living in Jericoacoara, or Puerto Escondido, or maybe Buenos Aires. I thought I was one of those people who would move somewhere warm, lounge around, write, feel hot, do yoga, sit under ceiling fans and eat mango every day.
That’s how I pictured myself: somewhere between a hippie and a digital nomad — but let’s be clear, I never would’ve walked around barefoot or sold handmade jewelry on the beach.
Instead, here I am in Australia. Again. And happily so. And yes, I can still eat mango every day here.
But it hasn’t always been like this: a few years ago, I left Australia in total confusion, with a sense of melancholy and uncertainty. I hadn’t yet figured out some fundamental things about myself, about places, about people.
And honestly, when it comes to people, I still haven’t figured much out: I’m not the most empathetic person, so for now I’m just trying to keep my opinions to myself and listen more. Both are incredibly hard.
👋 Ciao, I’m Ilaria!
Every now and then—usually on Wednesdays—I send out a newsletter. I’m about to hit the road for a trip with a tent and a 4x4, heading north to Queensland, so I’ll be taking a little break from writing. Sometimes I slow down because I want to make space.
Otherwise, with all the daily doing, it’s easy to lose sight of what really matters.
And for me, that’s: traveling and feeling good.
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“Let’s see how long this lasts” — I’m not a yogurt
Since I’ve been in one place for a few months now, without any intercontinental trips planned, I keep hearing things like:
“Let’s see how long this lasts.”
“So what will you do now?”
“How long are you staying?”
And my answer to all of those is: I don’t know.
The one that surprises me the most is: “Let’s see how long this lasts.” It’s not a challenge — and I’ve never claimed to be consistent. Changing my mind has made me curious, and interested in wildly different things.
Even the “what will you do now” question throws me off. As if there always needs to be a plan, a direction, something to do. A goal, an endpoint. That way of thinking used to really get to me. I felt like an outsider for wanting to live day by day. Now, living in the present feels like the only real option.
Right now, I’m here. And I feel good here. I’ve been asking myself why this sense of well-being happens in Australia, and not in Italy — a place I long dreamed of calling home, or at least a base.
What travel has taught me is that this is my new way of living — one that applies in Udine, Milan, Bogotá, or Cusco. I feel like I’m always a nomad, even when I’m standing still. Like I’m discovering new things every day, putting myself out there every day.
Settling in (and maybe even buying a lamp)
Today, for example, I walked into a lamp shop. The very knowledgeable shop assistant was an Italian-Australian, passionate about design. I walked out an hour later with a second-hand Tolomeo lamp in hand.
Sales skills aside, he just wanted to speak Italian — a language he rarely gets to use in Australia. So I gave him my time and attention. Sure, I wanted to get home to write this newsletter, but I also decided to stop rushing, to stop telling people “I have to go” when really, I don’t. Unless I don’t like them — then yes, I still say it.
But this is what travel taught me: to slow down, to enjoy a conversation, to not rush through a coffee with friends, to actually listen, to stop treating life like a race.
I found slowness without even looking for it
So yes, I feel good in Melbourne right now. After two years in Latin America, this city welcomes me with a new kind of slowness — one that feels just right. Here, everything flows more gently: work isn’t frantic, conversations happen without urgency, people take their time. Maybe being busy all the time, always producing and rushing, isn’t trendy anymore.
Australians read books in the park, they keep trying to stand up on a surfboard for hours, and they drink coffee sitting down — there’s no such thing as “at the counter.”
And if you walk down the street, no one overtakes you, unlike in Milan where you’d almost need turn signals.
Here, the pace is slower — and that’s perfectly fine. Maybe, when I first lived in Australia, I wasn’t ready for that rhythm.
It almost felt absurd to me back then. But two years in South and Central America taught me this: to slow down, to take my time, even if it’s just for a casual chat at the bar. There’s no rush. There’s nowhere else I need to be.
Sure, sometimes it still makes me laugh. Like when the bartender pours me a beer and just stands there talking, holding it in his hand. He could just hand it over and keep chatting, you know? But now I’ve learned to just be. Even in moments like that.
So here I am — back in a place I once lived, and once left. But I’ve come back as a different person, because we’re never the same person in the same place. In the end, traveling is just another way of living.
Until next Wednesday,
Ilaria
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Ciao Ilaria grazie per quello che scrivi 🙏Nomadi come te o sedentari come me le vibrazioni sono le stesse . Ho provato entrambi i modi di vivere e sulla mia pelle ho sentito le stesse attitudini ..sempre a bilanciare tra il desiderio di scoperta e di avventura e il desiderio di appartenenza e fiducia . Ciao Loredana
Quanto risuono con quello che dici!
Sono anche io in Australia, da 5 mesi, e a breve torno in Europa ma non a "casa" perché lí non mi sento nel mio posto.
Che poi, esiste IL posto? Sinceramente non lo so, non credo, non per tutti, non per me magari.
Difficile, ma fondamentale, non dar peso alla gente che fa commenti e che giudica.