Quando immagino un viaggio, soprattutto se l’ho sognato a lungo, dentro di me si fa strada un’aspettativa sottile e potente: che sarà bellissimo. Che sarò felice, che ogni giorno sarà una sorpresa, che mangerò bene, mi divertirò, conoscerò persone fighissime e il luogo sarà meraviglioso. E io tornerò cambiata ed ispirata.
E a volte succede davvero. Ed è anche questo il motivo per cui viaggio, perché è bellissimo e ogni volta non sono più la stessa persona di quando sono partita.
Ma altre volte no.
Altre volte mi ritrovo stanca, con i capelli crespi, la pelle appiccicosa e l'umore sotto ai piedi mentre cerco disperatamente qualcosa da mangiare che non sia riso bollito con l’uovo fritto. Che poi i capelli non mi stanno, anche quando un viaggio va bene. Anche se da quando ho scoperto la Cheratina, l’Asia non mi fa più paura.
E mentre fuori ci sarebbe anche qualcosa da vedere, io vorrei solo buttarmi nel letto ed essere triste, ma è un ostello e c’è altra gente nella camerata, parlano, sono felici, fanno amicizia. E allora prendo l’asciugamano, mi costruisco una specie di impalcatura ed entro nel mio letto a castello (posto rigorosamente in basso) e mi isolo.
👋 Ciao sono Ilaria!
Ogni tanto, di mercoledì, ti scrivo una newsletter. Sono a Melbourne, in Australia, e presto partirò per un viaggio on the road con tenda e 4x4, direzione Queensland. Poi ti racconterò. Questo significa che prenderò una pausa dalla newsletter.
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Il viaggio in Malesia: cronaca di un disincanto
A me è successo in Malesia. Un paese che sulla carta aveva tutto quello che poteva piacermi: natura, città vivaci, isole tropicali, street food, motorini, cocco, tanto caffè e tante birrette. Eppure non è scattato niente.
Ci sono posti che ti accolgono e altri che ti lasciano fuori dalla porta. Io in Malesia mi sono sentita straniera in ogni senso. Non è colpa del paese, anche se farei fatica a dargli una seconda possibilità.
Tutto mi sembrava faticoso, spento, vuoto. Mi sentivo sola, disconnessa, stanca.
E più cercavo di fare cose per “salvare il viaggio”, più mi sentivo distante da me stessa. Mi sembrava di vivere questa esperienza dall’esterno e guardare me, sperduta da qualche parte nel mondo, con uno zaino.
Che poi, tutti i miei viaggi sarebbero così se non ci mettessi tutto quell’ottimismo che ci metto sempre: dico sì ad un sacco di avventure, provo esperienze nuove, frequento corsi di salsa, di yoga, magari faccio meditazione e un bagno di gong e nell’incertezza attacco bottone con tutti. Tutto questo entusiasmo alternato a momenti di solitudine, relax, riflessione, scrittura.
Ma che cosa è successo veramente in Malesia?
Mi aggiravo tra Malacca e Penang con in mano un succo fresco di anguria, cambiando direzione ogni due giorni. Ostelli sbagliati, pernottamenti cancellati, bus presi all’ultimo minuto. Tutto per inseguire l’idea che da qualche parte ci fosse “il posto giusto”. Ma niente. Il cibo non mi piaceva, sbagliavo le sistemazioni, l’itinerario era confuso, e le persone che incontravo mi sembravano superficiali. Più cercavo di salvare quel viaggio, più mi sembrava di perdermi.
Quando tutto va storto (o così ti sembra)
Quel viaggio sembrava sbagliato. Non trovavo il ritmo, mi sentivo un po’ fuori posto. Tanto che ho pensato: “Ma che delusione, che spreco di soldi, se fossi rimasta a casa almeno mi sarei risparmiata questa frustrazione”.
Ecco.
Quel momento lì, quello in cui mi sono sentita fallita anche nel viaggio che doveva essere perfetto, è un momento importante.
Perché è il momento in cui posso decidere di smettere di cercare di forzare le cose.
La verità che fa un po’ male (ma anche un po’ bene)
Quello che ho capito, dopo quel viaggio in Malesia, è che quel periodo buio lo avrei avuto comunque.
Anche se fossi rimasta a casa, sarei stata triste. Forse il viaggio è quella cosa che ti accade mentre vivi. Quello era il momento di essere triste, a prescindere dalla location.
Solo che sul divano di casa è più comodo soffrire: ho la mia tazza di cioccolata calda o di vino a seconda dell’orario della giornata, il mio cuscino preferito, il mio pigiama morbido e il mio algoritmo Netflix che mi conosce meglio di mia madre. Posso guardare un film romantico, dove poi si innamoreranno anche se all’inizio lei sembrava una sfigata e lui un mezzo cretino e posso pure piangere.
In viaggio invece sto male e in più devo anche capire come si prende quel maledetto autobus locale.
Ma forse è proprio lì, nella fatica, che imparo qualcosa di nuovo.
Magari non su quel Paese che non mi è piaciuto, ma su di me. Su come mi muovo nel mondo anche quando non ho voglia di muovermi. Su cosa mi fa sentire viva davvero e magari è semplicemente uno scambio di battute mentre compro il mango.
Non c’è niente da “salvare”
Alla fine, la soluzione non è fingere che vada tutto bene. Non serve sforzarsi di vedere il lato positivo a tutti i costi, come se essere delusi o stanchi o tristi fosse una colpa.
E non c’è niente da salvare. C’è solo da accettare. Che non tutti i posti mi piaceranno, che non tutti i viaggi saranno memorabili, che non sarò sempre all’altezza delle aspettative. Anche perché è sbagliato il concetto di aspettativa in sé. Ma l’ho scoperto da poco.
Ma ogni volta che mi lascio attraversare anche da quello che non funziona, faccio spazio a qualcosa.
E magari, dopo un po’, mi accorgo che qualcosa è cambiato. Non perché il viaggio mi ha salvato, ma perché ho smesso di resistergli. Questa sensazione l’ho provata anche a Tulum, in Messico: tutto mi sembrava poco autentico, ma invece di combatterlo, ho accettato che fosse così. Ho cercato luoghi e persone ancora autentiche, e li ho trovati entrambi. Perché ho cercato in pace, senza ossessioni né pregiudizi.
Oggi saprei come comportarmi quando sono triste. Mi costruirei la mia tendina nella camerata, oppure mi regalerei una stanza singola e il lusso di sentirmi triste. Magari un massaggio, una cena nel letto davanti a una serie TV, una telefonata a un’amica per lamentarmi senza filtri. Di sicuro farei yoga o un po’ di sport. Non cercherei per forza compagnia, mi godrei la solitudine. Poi, un giorno, mi sveglierei e mi sentirei bene. Felice.
E comunque sì, la Malesia non è tra i miei posti preferiti.
E tu? Hai mai fatto un viaggio che ti ha deluso? Un posto che non ti ha lasciato niente o un momento in cui hai pensato “ma chi me l’ha fatto fare”?
Mi piacerebbe leggere la tua storia.
Consulenza di viaggio
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Leggi il racconto precedente…
✨ La nostalgia di ciò che non esiste più
Ti è mai capitato di tornare in un luogo speciale e sentirti stranamente fuori posto? In questa newsletter ti porto con me a riflettere sulla differenza tra nostalgia e familiarità, attraverso un ritorno che mi ha lasciato un sapore dolceamaro: quello a Granada.
Questa settimana ti segnalo la newsletter di
che si intitola , mi piace perché parla di viaggi, turismo e punti di vista reali.Ad un mercoledì,
Ilaria
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When I picture a trip—especially one I’ve been dreaming about for a long time—a subtle but powerful expectation takes hold inside me: that it’s going to be amazing.
That I’ll be happy, that every day will be a surprise, that I’ll eat well, have fun, meet incredible people, and the place will be wonderful. And that I’ll return changed and inspired.
And sometimes, that’s exactly what happens. That’s also why I travel—because it’s beautiful, and each time, I come back a different person from the one who left.
But other times, that’s not how it goes.
Sometimes I find myself exhausted, with frizzy hair, sticky skin, and a bad mood, desperately searching for something to eat that isn’t plain rice with a fried egg.
Honestly, my hair never cooperates—even when a trip goes well. Though ever since I discovered keratin, Asia doesn’t scare me anymore.
And while there might be something worth seeing just outside, all I want is to collapse in bed and be sad. But it’s a hostel, and there are other people in the dorm.
They’re talking, they’re happy, they’re making friends. So I grab my towel, build a little curtain-like fortress, climb into my (bottom bunk only) bed, and shut everything out.
👋 Ciao, I’m Ilaria!
Every now and then—usually on Wednesdays—I send out a newsletter. Right now I’m in Melbourne, Australia, and I’m about to head off on a road trip with a tent and a 4x4, heading toward Queensland. I’ll tell you more soon. That also means I’ll be taking a short break from this newsletter.
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Travel in Malaysia: a story of disenchantment
It happened to me in Malaysia—a country that, on paper, had everything I usually love: nature, lively cities, tropical islands, street food, scooters, coconuts, loads of coffee, and cold beers. And yet… nothing clicked.
Some places welcome you, and others leave you outside the door.
In Malaysia, I felt like a stranger in every possible way. It’s not the country’s fault, though I’m not sure I’d give it a second chance.
Everything felt hard, dull, empty. I felt alone, disconnected, tired. And the more I tried to “save the trip,” the more distant I felt from myself. It was like watching the experience from the outside—watching me, lost somewhere in the world with a backpack.
The truth is, all my trips would feel like that if I didn’t pour all my optimism into them: I say yes to tons of adventures, try new things, join salsa classes or yoga retreats, maybe meditate or do a sound bath, and—when in doubt—strike up conversations with strangers. It’s all this energy, mixed with moments of solitude, rest, reflection, and writing.
So what really happened in Malaysia?
I wandered around Malacca and Penang with a watermelon juice in hand, changing directions every couple of days. Wrong hostels, cancelled bookings, last-minute buses.
All in pursuit of the idea that somewhere out there was “the right place.”
But nothing worked. I didn’t like the food, my accommodation choices were all wrong, my itinerary made no sense, and the people I met felt shallow. The more I tried to “save” the trip, the more I felt like I was losing myself.
When everything goes wrong (or at least it feels that way)
That trip felt wrong. I couldn’t find my rhythm, I felt out of place. I even thought: “What a disappointment. What a waste of money. If I had stayed home, at least I could’ve spared myself this frustration.”
And yet—that exact moment, the one where I felt like I’d failed even at the trip that was supposed to be perfect—that moment mattered.
Because that’s when I could finally stop trying to force things.
The truth that hurts a little (but also helps)
What I understood after Malaysia is that I probably would’ve had that dark phase anyway.
Even if I’d stayed home, I would’ve felt sad. Maybe that’s what travel is: something that happens while you live. That was just my moment to be sad—no matter where I was.
It’s just that suffering on the couch at home is more comfortable: I have my mug of hot chocolate (or wine, depending on the time of day), my favorite pillow, my soft pajamas, and my Netflix algorithm that knows me better than my own mother.
I can watch a romantic comedy where the two leads fall in love even though she seemed like a mess and he was kind of an idiot—and I can cry if I want to.
On a trip, I still feel sad—but I also have to figure out how to catch that damn local bus.
But maybe it’s in that struggle that I learn something new. Maybe not about that country I didn’t like, but about myself. About how I move through the world even when I don’t feel like moving. About what really makes me feel alive—maybe just a few jokes exchanged while buying a mango.
There’s nothing to “save”
In the end, the answer isn’t pretending everything’s fine. You don’t have to force yourself to look on the bright side, as if feeling disappointed, tired, or sad were some kind of failure.
There’s nothing to fix. Just accept it. Not every place will move me. Not every trip will be memorable. I won’t always live up to my own expectations. And honestly? The very idea of “expectation” might be the real problem. But I only figured that out recently.
Still, every time I allow myself to feel even what doesn’t work, I make space for something new.
And maybe, after a while, I realize something has shifted. Not because the trip “saved me,” but because I stopped fighting it. I felt this same thing in Tulum, Mexico: everything felt inauthentic at first, but instead of resisting, I accepted it. I looked for places and people that still felt real—and I found both. Because I searched peacefully, without obsession or judgment.
These days, I know how to care for myself when I’m sad. I’d build my little curtain in the dorm room—or maybe I’d treat myself to a private room and the luxury of feeling sad.
Maybe I’d get a massage, order dinner in bed with a series on, or call a friend to vent freely. I’d definitely do yoga or something active. I wouldn’t force myself to socialize. I’d enjoy the solitude. And then, one day, I’d wake up and feel okay. Happy, even.
And yes, Malaysia still isn’t one of my favorite places.
What about you? Have you ever taken a trip that let you down?
A place that left you cold, or a moment when you thought, “Why did I even bother?”
I’d love to hear your story.
Until next Wednesday,
Ilaria
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Chat GPT translated this article
Mi è capitata la stessa cosa in Malesia, e a questo punto non so se sia un caso o ci sia qualche denominatore comune. Sì, anch'io ci ero capitata un po' "triste" proprio in Malesia, ma forse ci sono anche andata dopo aver visto altri paesi che si sono appoggiati meglio al mio cuore e quindi le mie aspettative erano già abbastanza alte.
Un altro motivo potrebbero essere quelle descrizioni un po' patinate che si fanno dei paesi. La Malesia ad esempio viene descritta come un crogiolo di culture, cibi e religioni, e in effetti è vero. Solo che non sempre il risultato di questi mix è quello che ci immaginiamo dalla descrizione. In Malesia per esempio mi sono sentita self-conscious per il fatto di essere donna e senza velo (pur vestendomi in maniera adeguata), sono stata cat-called (mai successo nè in Vietnam nè in Ghana), e non mi sono sentita particolarmente accolta dai locali (ho notato più feeling con la popolazione malese di origine cinese e intorno a Penang dove questo è più forte, ma queste sono le mie impressioni personali).
Ovviamente, nessun paese ci 'deve' qualcosa. Si prova a visitare un posto essendo il viaggiatore migliore che sappiamo essere, e poi il paese si presenta a noi, e a volte possiamo trovarci bene e a volte no. Magari dipende da noi, magari dipende dal paese, o magari da entrambi. Io non pensavo di potermi trovare "male" in sudest asiatico, eppure grazie a questo ho capito in quale "tipo" di paesi del sudest asiatico mi trovo meglio e quindi dove andare le prossime volte.
Ok, allora la Malesia è così per tanti 😂 Era uno dei pochi paesi asiatici che non avevo toccato e a novembre scorso abbiamo trascorso un po' di giorni nella sua capitale. Ecco... io mi son detto in questi mesi che è stata Kuala Lumpur, che magari fuori è diverso, ma a punto non so. Città vivibilissima, ma niente, non riuscivo a farmela piacere. A pelle.