Nella mia vita, ho trascorso 1.295 notti in ostello. Praticamente ho dormito per oltre tre anni in camera con degli sconosciuti. Beh forse di più, se contiamo altre occasioni, in cui ho dormito in camera con degli sconosciuti.
Ho sentito per anni, il rumore delle zip che si aprono e si chiudono, dei sacchetti di plastica e dei lucchetti che bloccano le serrature. Quei rumori tipici dell’ostello, quando si cerca qualcosa o si prepara lo zaino.
Ho fatto e disfatto lo zaino 984 volte. All’inizio del viaggio entra tutto e poi non entra più niente, un grande classico. Prima di partire, sei convinta: “questa volta parto leggera”, al momento del check-in, ti rendi conto che anche questa volta, pesa 16 chili. Che poi non ho mai capito, perché non ho ancora comprato la bilancia pesa valigia. Tu ce l’hai?
Ciao sono Ilaria, e questa è la mia newsletter! Mentre ti scrivo, mi trovo a Buenos Aires, lì dove tutto è cominciato ad ottobre 2022. O continuato, non lo so. Fatto sta che da quella data faccio un po’ quello che voglio. E considero la mia vita molto più figa della precedente.
La newsletter, il mio blog di viaggi, il mio coraggio. Non esisteva niente di tutto questo, prima di quella data. Esisteva la paura del giudizio degli altri.
Se vuoi sostenere il mio progetto di scrittura, puoi offrirmi un aperitivo e se vuoi dare un'occhiata al mio sito, lo trovi qui: www.ilariagianfagna.it
Ho cucinato e mangiato 1.178 volte i in cucine diverse, pulite, sporche, attrezzate, spoglie, con vista sulla cordigliera delle Ande o sulle risaie di Bali, con i frighi strapieni, ho attaccato etichette su etichette con il mio nome e la data sulla mia spesa, ho parlato con persone di tutto il mondo, di pasta, risotto, ricette, ingredienti. D’altronde il cibo unisce. “Sì la mozzarella”, “La pizza”, “Certo l’acqua deve prima bollire, poi butti la pasta.”.
Ho bevuto oltre 51 mila bicchieri di vino, da sola, al banco, con gli amici, con sconosciuti, con il barista, con viaggiatori, con anime perse, con ubriachi, con sobri, con matti da legare, con le amiche, in Giappone, in Cile, in Australia e ovunque.
Dovrei essere stanchissima e dovrei volere la mia privacy e a volte è così. Voglio una camera mia, un bagno mio e una cucina pulita, che uso solo io.
La maggior parte delle volte, invece, mi guardo intorno e mi rendo conto che sto cucinando in un luogo dove non c’è manco un coltello affilato per tagliare bene la cipolla e che devo usare un piatto come tagliere. E mi sorprendo di quanto sia diventata flessibile negli anni.
O meglio di quanto non me ne freghi più niente della perfezione. Certo vorrei che quella cucina a Puerto Escondido fosse pulita e attrezzata. Ma non lo è. E mi sorprendo di come questo non mi rovini affatto il momento o la cena. Come se non fossero queste le cose importanti. Mentre a casa, sembrano esserle.
Quel bel set di piatti comprato in Francia, i calici di vino tutti diversi presi al mercatino dell’antiquariato, le lenzuola di lino rosa e le candele che profumano di oceano. Adesso mi sembra quasi di non ricordarli più quegli oggetti.
L’ostello è brutto e sporco
Non è vero. Bisogna saper scegliere e gli ostelli oggi sono luoghi confortevoli e di design. Di solito più è caro e più è pulito. Quindi scegliendo un ostello che costa dai 15 ai 25 euro, dovresti poter dormire in un letto comodo, con lenzuola morbide e piumone, magari due cuscini, una mensolina, le prese vicino al letto e una minuscola abat-jour, tutto nel tuo piccolo spazio privato, spesso separato da una tenda. Dovresti avere anche un armadietto che puoi chiudere con un lucchetto e un asciugamano pulito, che ti consegnano al check in.
In molti ostelli adesso c’è una bella piscina, uno spazio all’aperto, una terrazza o un giardino, un area all’interno dove rilassarsi, una cucina e un luogo in cui lavorare, che può essere un co-working o semplicemente un’area studio, una library.
Molti ostelli offrono anche il servizio di bar e ristorante, che è comodo, oltre che divertente, perché è un modo per socializzare e conoscere persone da tutto il mondo.
Di fatto, gli ostelli possono costare fino a 50 euro a notte, a seconda della data, della location e dei servizi, che scegli. Poi offrono anche camere singole, se vuoi un mix tra privacy e compagnia.
Un luogo senza età
L’ostello è questo luogo senza età. Non importa quanti anni hai, importa come te la vivi la vita, senza controllarla. È un luogo senza tempo, nessuno sa se è lunedì o mercoledì e poco cambia se fai una cosa alle 11 o alle 16.
Ti svegli presto, tardi, sei rientrata la mattina dopo, a nessuno interessa, nessuno ti giudica. Anzi, ci si racconta, ci si ascolta, ci si consiglia, ci si aiuta. Io ho 44 anni e adesso che lo scrivo, mi sento quasi pazza a dormire in ostello. Ma c’è gente della mia età, poco più grande, poco più giovane.
L’altro giorno, ero in un ostello nella laguna di Bacalar, in Messico. Ostello molto carino, della catena messicana Che, con piscina, bar, cucina attrezzata e pulita, co-working, letti comodissimi. Sempre della serie, esistono tanti ostelli belli nel mondo.
Dicevo, che ero in ostello a Bacalar, sullo sdraio, a sistemare un reel, proprio nel pieno cliché della nomade digitale, che lavora a bordo piscina. Si avvicina una ragazza slovena di 19 anni, è il suo primo viaggio da sola. Si siede accanto a me, mi racconta, mi fa domande, è interessata. E io penso, ma come l’è venuto in mente di avvicinarsi proprio a me, che ho il doppio dei suoi anni? Mi rispondo che forse lei nella sua semplicità, voleva fare due chiacchiere, senza pensare alla differenza di età. A conferma di questa mia teoria, in un altro ostello, ci ha provato un ventenne. Ammetto che non mi è dispiaciuto. Che ci provasse, intendo. Questo scambio continuo di frasi, informazioni, inviti, opinioni, risate, consigli, con una decina di persone diverse al giorno o forse di più, è qualcosa che mi sorprende sempre.
Ho paura di annoiarmi
Poi l’ostello è perfetto per dare una risposta a tutte quelle affermazioni del tipo: “Non viaggio solo perché mi sento solo”, “Non so come fare amicizia”, “Ho paura di annoiarmi”. Non dovrai nemmeno pensare a come si fa amicizia. Accadrà e basta. L’ostello organizza un sacco di attività ed escursioni e tu devi solo partecipare. È tipo yoga, ti viene solo richiesto di presentarti. Il resto poi accade.
Poi io continuo a sorprendermi ogni volta, come nascano rapporti bellissimi tra compagni di stanza. Per me, il fatto di condividere la camera, rende tutto da subito più in intimo e speciale. Molte volte, scatta una battuta che è divertente solo perché si è creata in quella situazione di intimità.
Quando ho fatto il mio primo viaggio da sola, in Giappone, la mia più grande preoccupazione era proprio la noia, questa necessità di riempire sempre il tempo, lo spazio, parlando e ascoltando. Poi anni dopo, mi sono ritrovata a pensare: “Adesso chiudo la tenda del mio letto, mi metto a leggere e non parlo con nessuno”. Perché dopo tutta questa condivisione, hai bisogno di stare un po’ da sola.
Devi avere pazienza
L’ostello ti insegna a condividere gli spazi, è qualcosa di più grande di condividere l’appartamento, perché gli spazi sono più ristretti, la privacy è ridotta al minimo e a volte ti cambi come in spogliatoio, con disinvoltura. Un saluto, piacere, come stai, da dove vieni, che programma hai, lo devi scambiare. E cosi da un paio di parole di cortesia può nascere un’amicizia, un amore, un pezzo di viaggio insieme.
Poi devi lottare per l’aria condizionata, accesa o spenta? 18 gradi o 26? Tu la spegni, lei la riaccende. I turni in bagno, la finestra aperta o chiusa? No, mai poi entrano le zanzare. La luce accesa o spenta? E poi si parla a bassa voce o ad alta voce? Ci si toglie le scarpe o meno quando si entra in camera? Si saluta sempre quando si entra o a volte puoi fare l’asociale? Chissà se quel sapone nella doccia è di qualcuno? Se lo vedo ancora domani, lo butto.
Ognuno fa un po’ quello che vuole in ostello, chi accende la luce di notte, chi inciampa e fa rumore, chi mette la sveglia alle tre notte, chi torna a quell’ora ubriaco. È un equilibrio precario.
Mi ricordo che una volta ho fatto il check in ad Antigua in Guatemala alle tre di notte e tutta orgogliosa della mia delicatezza, sono entrata in camera senza far rumore, con una piccola pila tra le mani. Ad un certo punto un’americana mi urla: “Non abbiamo bisogno della tua fottura pila". Ok, ha fatto più rumore lei di me, ma poi lo sanno tutti che in ostello devi dormire con la mascherina sugli occhi e i tappi per le orecchie.
E pensare che a Buenos Aires mi è successa la stessa cosa, sempre alle tre di notte, e una ragazza che stava andando a dormire, mi ha salutato dal suo letto, augurandomi la buonanotte. È stata una scena molto dolce.
E allora ho pensato, a quante volte la nostra reazione può fare la differenza. Un sorriso, un saluto, uno sguardo. Quanto il nostro tono possa aprire o chiudere porte.
La maggior parte delle volte sono carina, gentile, sorrido, stringo la mano, faccio il primo passo. Però a volte sono io quella che risponde male. Non succede spesso, ma a volte sbotto.
Poi mi giustifico, dicendomi che non posso sempre essere “perfetta”. E se avessi perseguito questa ricerca della perfezione (o di controllo) forse non sarei nemmeno partita e non avrei nemmeno passato 1295 notti in ostello. Forse a volte sono io quella che dice: “Non abbiamo bisogno della tua fottuta luce”.
Poi penso anche, quante volte ci lamentiamo. “Questa pasta è scotta”, “Ah non abbiamo ancora ordinato”, “Mm questo letto è scomodo”, “Non è come nelle foto”, “Pensavo meglio”. E quante volte magari trattiamo dimostriamo la nostra insoddisfazione a chi sta lavorando: il cameriere, il receptionist, l’assistente di volo. Io non lo faccio mai, nemmeno se il cibo fa schifo perché avendo lavorato per tanti anni nella ristorazione, non mi permetto di dire nulla. Tutto buonissimo e bellissimo! Tutti dovrebbero lavorare nella ristorazione per un periodo e tutti dovrebbero vivere all’estero per un periodo.
A volte penso che non vorrei mai rispondere male, vorrei sempre dire e fare la cosa perfetta, giusta, senza perdere il controllo. Altre penso che è necessario che ogni tanto lo perda. Ma mi sento così in colpa. Succede anche a te?
Questa settimana ti consiglio la newsletter di
si chiama e ovviamente io mi riconosco un casino in tutto quello che scrive. Mi piace, alla fine esiste un altro modo di vivere, che è il nostro modo di vivere. Quello che ognuno di noi si crea su misura. E Vincenzo lo spiega bene, con umiltà.Leggi il racconto precedente…
A mercoledì,
Ilaria
P.S. I numeri sono inventati.
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Life at the hostel
In my life, I've spent 1,295 nights in hostels. Essentially, I've slept for over three years in rooms with strangers. Well, maybe even more, if we count other occasions when I've slept in rooms with strangers.
For years, I've heard the noise of zippers opening and closing, plastic bags rustling, and padlocks securing locks. Those typical sounds of hostels when you're searching for something or packing your backpack.
I've packed and unpacked my backpack 984 times. At the beginning of the trip, everything fits in, but then nothing fits anymore, a classic scenario. Before leaving, you're convinced: "This time, I'll pack light." At check-in, you realize that once again, it weighs 16 kilos. And I still haven't understood why I haven't bought a luggage scale yet. Do you have one?
Hi, I'm Ilaria, and this is my newsletter! As I write to you, I find myself in Buenos Aires, where everything started in October 2022. Or continued, I don't know. What matters is that since that date, I've been doing pretty much what I want. And I consider my life much cooler than before.
The newsletter, my travel blog, my courage. None of this existed before that date. There was only fear of others' judgment.
If you want to support my writing project, you can buy me a drink, and if you want to check out my website, you can find it here www.ilariagianfagna.it
I've cooked and eaten in different kitchens 1,178 times, clean ones, dirty ones, equipped ones, bare ones, with views of the Andes or the rice fields of Bali, with overcrowded fridges. I've labeled my groceries with my name and the date, talked with people from all over the world about pasta, risotto, recipes, ingredients. After all, food brings people together. "Yes, the mozzarella," "The pizza," "Of course, the water must boil first, then you add the pasta."
I've drunk over 51,000 glasses of wine, alone, at the bar, with friends, with strangers, with the bartender, with travelers, with lost souls, with drunkards, with sober ones, with crazy people, with friends, in Japan, in Chile, in Australia, and everywhere.
I should be very tired, and I should want my privacy, and sometimes I do. I want my own room, my own bathroom, and a clean kitchen that only I use.
Most of the time, however, I look around and realize that I'm cooking in a place where there isn't even a sharp knife to cut the onion, and I have to use a plate as a cutting board. And I'm surprised at how flexible I've become over the years.
Or rather, how much I don't care about perfection anymore. Sure, I wish that kitchen in Puerto Escondido were clean and equipped. But it's not. And I'm surprised at how it doesn't ruin the moment or dinner at all. As if those weren't the important things. Whereas at home, they seem to be.
That beautiful set of dishes bought in France, the various wine glasses picked up at the antique market, the pink linen sheets, and the candles that smell like the ocean. Now I almost don't remember those objects anymore.
The hostel is ugly and dirty.
That's not true. You have to choose wisely, and hostels today are comfortable and stylish places. Usually, the more expensive it is, the cleaner it is. So, by choosing a hostel that costs between 15 and 25 euros, you should be able to sleep in a comfortable bed, with soft sheets and a duvet, maybe two pillows, a small shelf, outlets near the bed, and a tiny bedside lamp, all in your small private space, often separated by a curtain. You should also have a locker that you can close with a padlock and a clean towel, provided at check-in.
Many hostels now have a nice pool, outdoor space, a terrace or garden, an indoor area to relax, a kitchen, and a workspace, which can be a co-working space or simply a study area, a library.
Many hostels also offer bar and restaurant service, which is convenient, as well as fun because it's a way to socialize and meet people from all over the world.
In fact, hostels can cost up to 50 euros per night, depending on the date, location, and services you choose. They also offer single rooms if you want a mix of privacy and company.
A place without age
The hostel is this place without age. It doesn't matter how old you are; what matters is how you live your life, without controlling it. It's a timeless place; nobody knows if it's Monday or Wednesday, and it doesn't matter much if you do something at 11 or 4.
You wake up early, late, you come back the morning after, nobody cares, nobody judges you. On the contrary, we tell each other stories, listen, give advice, help each other. I'm 44 years old, and now that I'm writing this, I feel almost crazy sleeping in a hostel. But there are people my age, a little older, a little younger.
The other day, I was in a hostel in the Bacalar Lagoon, in Mexico. A very nice hostel, part of the Mexican chain Che, with a pool, bar, well-equipped and clean kitchen, co-working space, very comfortable beds. Still, there are many beautiful hostels in the world.
I was saying that I was in a hostel in Bacalar, lying on a sun lounger, editing a reel, in the full cliché of the digital nomad working by the pool. A 19-year-old Slovenian girl approaches me; it's her first solo trip. She sits next to me, tells me about herself, asks questions, she's interested. And I think, how did she come up with the idea to approach me, twice her age? I tell myself that maybe in her simplicity, she just wanted to have a chat, without thinking about the age difference. As proof of my theory, a twenty-year-old tried the same thing in another hostel. I admit I didn't mind. That he tried, I mean. This continuous exchange of phrases, information, invitations, opinions, laughter, advice, with about ten different people a day or maybe more, is something that always surprises me.
Afraid of getting bored.
Then the hostel is perfect for answering all those statements like, "I don't travel alone because I feel lonely," "I don't know how to make friends," "I'm afraid of getting bored." You won't even have to think about how to make friends. It will just happen. The hostel organizes a lot of activities and excursions, and you just have to participate. It's like yoga; you're only required to show up. The rest just happens.
Then I keep surprising myself every time, how beautiful relationships are born between roommates. For me, sharing a room immediately makes everything more intimate and special. Many times, a joke arises that is funny only because it was created in that intimate situation.
When I took my first solo trip to Japan, my biggest concern was boredom, this need to always fill time and space, talking and listening. Then years later, I
found myself thinking, "Now I'll close the curtain of my bed, start reading, and not talk to anyone." Because after all this sharing, you need to be alone for a while.
You have to be patient.
The hostel teaches you to share spaces, it's something bigger than sharing an apartment, because the spaces are more cramped, privacy is minimal, and sometimes you change like in a locker room, casually. You have to exchange greetings, pleasure, how are you, where are you from, what's your plan. And from a couple of words of courtesy, a friendship, a love, or a piece of the journey together can arise.
Then you have to fight for the air conditioning, on or off? 18 degrees or 26? You turn it off, she turns it back on. Bathroom shifts, window open or closed? No, never, otherwise, mosquitoes will come in. Light on or off? And then do we speak quietly or loudly? Do we take off our shoes when entering the room? Do we always greet when entering, or can we be antisocial sometimes? I wonder if that soap in the shower belongs to someone. If I see it again tomorrow, I'll throw it away.
Everyone does what they want in the hostel, someone turns on the light at night, someone stumbles and makes noise, someone sets the alarm for three in the morning, someone comes back at that hour drunk. It's a delicate balance.
I remember once checking in at Antigua in Guatemala at three in the morning and, all proud of my delicacy, entered the room without making a sound, with a small stack in my hands. At some point, an American girl shouted at me, "We don't need your damn light." Ok, she made more noise than me, but then everyone knows that in a hostel, you have to sleep with a mask over your eyes and earplugs.
And to think that the same thing happened to me in Buenos Aires, also at three in the morning, and a girl who was going to bed greeted me from her bed, wishing me good night. It was a very sweet scene.
And then I thought about how many times our reaction can make a difference. A smile, a greeting, a glance. How much our tone can open or close doors.
Most of the time, I'm nice, kind, I smile, shake hands, take the first step. But sometimes I'm the one who responds badly. It doesn't happen often, but sometimes I snap.
Then I justify it, telling myself that I can't always be "perfect." And if I had pursued this quest for perfection (or control), maybe I wouldn't have even started, and I wouldn't have spent 1295 nights in hostels. Maybe sometimes I'm the one who says, "We don't need your damn light."
Then I also think about how many times we complain. "This pasta is overcooked," "Oh, we haven't ordered yet," "Mm, this bed is uncomfortable," "It's not like in the pictures," "I thought it would be better." And how many times maybe we show our dissatisfaction to those who are working: the waiter, the receptionist, the flight attendant. I never do it, not even if the food is terrible because having worked for many years in the restaurant industry, I don't allow myself to say anything. Everything is delicious and beautiful! Everyone should work in the restaurant industry for a while, and everyone should live abroad for a while.
Sometimes I think I would never want to respond badly; I would always want to say and do the perfect, right thing, without losing control. Other times, I think it's necessary to lose it every now and then. But then I feel so guilty. Does it happen to you too?
See you next Wednesday,
Ilaria
If you want, you can do a lot of beautiful things. And not just here, but also in life.
You can:
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Sì, sbotto. L’ultima volta in Turchia per l’aria condizionata a 18 gradi ma dai!! Uno, si gelava e 2 quanto inquinamento per niente. Basta tenerla sui 25/26. Hahaha
A parte questo, mi ci ritrovo un sacco nelle tue parole e sì, a un certo punto non te ne frega più delle lenzuola rosa o del coltello affilato. Sei dove sei, e le priorità della vita cambiano in una maniera meravigliosa.
I lunghi viaggi in bus, le notti in ostello, perdersi e non avere campo per controllare Google, perdere la pazienza e sbottare, non avere gli attrezzi da cucina e doversi accontentare di tagliatelle vecchie e mezzo spicchio di aglio (storia vera) ti ribalta la vita e quello che a casa sembra importante, non lo è più.
Bellissima analisi !!!! Totalmente azzeccata!
Ovviamente mi sento totalmente presa in causa per la questione dell’ aria condizionata “ beh if you like it cold, why don’t you travel to Norvegia ffs”.
Credo comunque che tu abbia volutamente omesso qualche dettaglio hot in merito alle cose che possono accadere in ostello 😜😇